Una breve storia del potere
Nel 2018 il giornalista e storico britannico Simon Heffer, ha scritto un saggio intitolato âUna breve storia del potereâ, dove descrive e ricostruisce le dinamiche evolutive del potere politico agganciandole a quattro variabili fondamentali, utilizzate come bussola per orientarsi: territorio, ricchezza, religioni e ideologia. Oltre alla descrizione ricca di dati storici, dallâepoca classica al XXI secolo, Heffer propone una determinata idea del potere che tiene insieme due elementi: il realismo che descrive lâinevitabile conflitto interno ed esterno alle società e il liberalismo, come metodo di limitazione dello stesso potere politico e filosofia della libertà poggiata sullâindividuo.
Heffer rifiuta tutte quelle interpretazioni âuniversalisteâ che considerano la storia come un ineluttabile progresso volto a delineare quello che con unâimmagine carica dâironia, il sociologo americano Christopher Lasch chiamava âil paradiso in terraâ.
Dâaltronde la convinzione di potere esportare dei modelli occidentali al resto del mondo, senza considerare i caratteri peculiari degli altri popoli, si ÃĻ rivelata piena di difetti alla prova dei fatti. La storia non ÃĻ destinata ad esaurirsi con la vittoria totale delle democrazie. Per quanto riguarda il liberalismo, lâespressione va intesa in senso piÃđ ampio e non con riferimento a una specifica dottrina moderna. Heffer assume una posizione di sintesi tra il liberalismo classico del Novecento e le critiche rivolte a questo da due autori come Max Weber e Carl Schmitt.
Il liberalismo classico, infatti, intende limitare ed irreggimentare nel piÃđ ampio modo possibile il conflitto per il potere politico imbrigliandolo nella dimensione giuridica, cioÃĻ in regole fondamentali e inderogabili da chi detiene il potere e nella contrattazione tra le parti, basata su dialogo e scambio. Su questo punto la storia dimostra il contrario: il conflitto per il potere non puÃē essere espunto dalla dinamica politica, la conflittualità delle idee non si puÃē addomesticare con le formule giuridiche buone per tutti ma solo per un tempo breve e limitato. Heffer appartiene a quella schiera di studiosi che mettono sempre in conto la possibilità dellâavvento di movimenti politici che rompono certi equilibri, nel bene e nel male, cosÃŽ come non ÃĻ detto che un sistema in apparenza liberale non possa degenerare nel suo contrario.
La politica puÃē produrre, con una certa regolarità , effetti che destabilizzano lâordine politico. Citando ampiamente il saggio famoso di Edward Gibbon âDeclino e Caduta dellâImpero Romanoâ, dimostra come un sistema di potere possa indebolirsi, decadere e collassare. Questo perchÃĐ le regole costituzionali, garanzia di libertà personali, e lâorganizzazione statuale che a partire dal diciannovesimo secolo ebbero un grande sviluppo, hanno dato prova di non riuscire mai ad imbrigliare completamente la politica, a neutralizzarne alcuni effetti disordinati, cosÃŽ come non sono sempre garanzia di protezione da poteri esterni, tecnocratici, in grado di condizionare lâordine politico.
I sistemi costituzionali e gli equilibri dello scacchiere geopolitico, sono sempre esposti alla tempesta delle trasformazioni imposte dal politico, dallâinsondabile conflittualità in tutte le sue forme piÃđ o meno razionali. Heffer nella sua analisi del potere non si conforma totalmente a Schmitt che riconduce tutto allo Stato, ma considera la presenza del politico come qualcosa che trascende questa realtà , qualcosa di necessario che sta dentro e fuori dallâentità statuale, si dipana in molteplici livelli senza risolversi una volta per tutte.
Questo affresco sulla realtà dei fatti intorno al conflitto politico, ci offre molti spunti. Max Weber ormai un secolo fa, ricordava come lo Stato rappresentasse un grande processo di razionalizzazione del potere politico in Occidente che ÃĻ avvenuto prevalentemente attraverso due vettori: il monopolio legittimo della violenza e il dispiego dei suoi effetti sopra un territorio limitato. Questo percorso si ÃĻ raffinato con la creazione di una burocrazia centralizzata, un esercito e altri elementi di comando che sopravvivono alle stagioni politiche. Lo Stato come edificio giuridico, va oltre la vita dei suoi vertici politici. Con una analisi ancora piÃđ elegante, il grande storico Ernst Kantorowicz riferendosi ai âdue corpi del Reâ li descriveva come uno fisico, carismatico e lâaltro giuridico, impersonale e pubblico.
Nella concezione realista espressa dal libro câÃĻ anche un richiamo implicito al problema della degenerazione delle democrazie in Stati totalitari, secondo la visione espressa da Bertrand de Jouvenel in Del Potere. Storia naturale della sua crescita. Lâintellettuale francese mostrava con chiarezza il percorso di accrescimento del potere dalle sue origini nellâetà moderna fino agli Stati totalitari del XX secolo e argomentava efficacemente sul fatto fondamentale per cui la democrazia, quando la penetrazione sociale dello Stato ÃĻ profonda, non ÃĻ in grado di fornire alcuna garanzia di tutela delle libertà individuali. CiÃē, in particolare, quando tendevano a prevalere quelle correnti di pensiero, legate alla tradizione del diritto positivo, secondo cui tutto il diritto discendeva dallâautorità politica e per cui questa si trovava ad essere allo stesso tempo formalmente vincolata al diritto che solo essa stessa poteva creare. Un sofisma che si presta a forme di dispotismo nella società .
Spostandoci nel campo delle relazioni internazionali, Heffer considera tribunali, regole ed enti sovranazionali come la rappresentazione dellâordine politico globale, creato dai vincitori in una determinata fase storica. Istituzioni fragili che esprimono dei semplici rapporti di forza tra Stati. Interessanti sono anche le considerazioni relative al rapporto tra politica e religione. Per lâOccidente il percorso di razionalizzazione del potere, ha significato anche secolarizzare le istituzioni pubbliche e passare dal patto-giuramento sacralizzato con Dio al patto tra cittadini come elemento fondamentale alla base del potere spersonalizzato dello Stato.
Da ultimo emerge sullo sfondo del saggio di Heffer la profonda relazione tra ordine politico e sviluppo capitalistico. La ricchezza della produzione e del commercio, originata dal pluralismo istituzionale occidentale, si fonde con i destini degli Stati e la propria influenza geopolitica. Lâapertura dei mercati oltre i confini nazionali, caratteristica attribuibile in primo luogo agli imperi della storia moderna e dal ventesimo secolo agli Stati Uniti dâAmerica, diviene un potentissimo meccanismo per lâespansione del potere. Lo stesso capitalismo trasforma e viene allo stesso tempo trasformato dal potere politico nelle varie fasi della storia. Lo Stato si era abbondantemente servito del capitalismo per espandere la propria sfera dâinfluenza politica provvedendo a tutto ciÃē che ai grandi capitalisti pesava sostenere come le infrastrutture e lâassistenza sociale. Tuttavia, come anche Heffer mostra, una eccessiva interrelazione tra capitalismo e statalismo puÃē scadere in pericolosissime degenerazioni: monopoli, cartelli, oppressione fiscale e burocratica, depressione economica e, in definitiva, collasso del sistema economico e politico. Uno strumento, lo Stato, puÃē facilmente divenire padrone dei popoli, nemico della libera iniziativa economica, tiranno dei mezzi di produzione, pianificatore di un capitalismo concentrato e clientelare, bisognoso di conflitti esterni per giustificare la propria espansione e il mantenimento del potere da parte dei governanti.
Come annotava profeticamente Hannah Arendt nel 1969: âOggi dovremmo aggiungere la piÃđ recente e forse piÃđ formidabile forma di dominio: la burocrazia o il dominio di un intricato sistema di uffici in cui nessuno, nÃĐ uno nÃĐ i migliori, nÃĐ i pochi nÃĐ i molti, puÃē essere ritenuto responsabile, e che potrebbe [âĶ] essere definito come il dominio da parte di Nessunoâ.
Attualmente assistiamo a una trasformazione dello Stato e del potere pubblico. Esso nel corso dei decenni ha gradualmente ridotto il suo intervento nelle dinamiche economiche ma ha aumentato regolamenti e adempimenti burocratici. In molti casi un allargamento smisurato che ha moltiplicato il potere delle burocrazie depoliticizzate. In conclusione resta sullo sfondo unâaltra domanda: Chi governa il mondo? La frammentazione dei regolatori globali, la loro composizione mista fra pubblico e privato e lâinterventismo attraverso norme che discendono dal contesto internazionale o sovranazionale, sono tutte caratteristiche emerse con maggiore forza negli ultimi decenni.
Pierre Rosanvallon, utilizza il termine âContre-DÃĐmocratieâ (contro-democrazia) per descrivere quegli organi depoliticizzati, come le authorities e le agenzie amministrative espressione di un nuovo interventismo statale e un diverso bilanciamento dei poteri volto a contrastare la rappresentatività democratica in favore di poteri spuri e sovrastatali. Il potere non ÃĻ evaporato, ma si ÃĻ disaggregato. Si ÃĻ fatto infrastrutturale, sottile e penetrante, volto ad estendersi in orizzontale piÃđ che in verticale, ad usare il diritto piÃđ della violenza come strumento di coercizione.
Questa metamorfosi non rende il potere meno pericoloso per le libertà individuali nÃĐ tantomeno riesce a neutralizzare il Politico, come lâestremizzazione delle forze politiche delle democrazie occidentali dimostrano. Questa inquietudine si riverbera anche sul fronte geopolitico, come nota acutamente Simon Heffer, dove le democrazie liberali sono in affanno e le potenze a capitalismo autoritario, hanno scoperto una nuova realtà del potere che coniuga lâadesione ai principi della concorrenza globale a quello dellâautoritarismo dispotico. Un altro mito, quello del rapporto speculare tra libertà economica e politica, ÃĻ già sfumato. Un concetto afferrato, seppur in termini diversi, anche dallo stesso Simon Heffer che scrive: âLa rivalità esiste ancora, anche se lo sviluppo delle civiltà prescrive che alcuni dei rivali naturali debbano trovare metodi piÃđ discreti per entrare a far parte del gioco. Il trionfo della democrazia liberale resta una vittoria incompiutaâ.