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BeneventoBlogSannio

Il Centro storico di Pietrelcina e la possibilità del rinnovamento

La questione della “conservazione” è un problema cruciale e ineludibile, allo stesso tempo è un tema difficile da pensare e argomentare, per l’immediata diffidenza che suscita. Eppure dovrebbe essere intuitivo che la conservazione è un aspetto non marginale in qualsiasi riflessione che riguarda il paesaggio, specialmente quello urbano, perché dalla capacità di comprendere ciò che va conservato si può immaginare un futuro di rinnovamento e trasformazione senza provocare distruzioni.

Ogni tessuto territoriale è un organismo complesso e delicato, non riducibile a semplice superficie disponibile a qualsiasi manomissione. “Conservare” nel suo significato originario, deriva da “cum-serbare”, preservare nella cura, trattenendolo dalla sparizione. Si protegge ciò che si ha a cuore, solo ciò che conta per una comunità, l’esatto contrario di una concezione museale.

L’elaborazione di un pensiero del paesaggio e del territorio come identità singolare dei luoghi non può evitare di interrogarsi sul valore della conservazione. Di fronte a territori e aree urbane scempiate dal disordine e dalla sciattezza delle nuove edificazioni, i centri storici dei piccoli paesi, sembrano resistere al degrado estetico che inevitabilmente apre la strada al decadimento civile. È un dibattito vecchio e già in epoche passate, in un’Italia tutta proiettata verso l’espansione economica, sono stati in molti a lanciare l’allarme contro l’alterazione del paesaggio che non può essere ridotto né a cartolina patinata intoccabile, né a uno spazio da spianare e alterare a piacimento per soddisfare l’economia e il mercato. Un equilibrio esiste e va trovato. A titolo di esempio, quando i Talebani hanno fatto saltare le colossali statue del Buddha di Bamiyan, tutti comprendemmo che dietro a quel gesto iconoclasta, c’era una volontà di annichilimento e umiliazione di una tradizione millenaria.

I piccoli borghi si trovano sempre stretti tra due tendenze: l’eccessiva trasformazione e l’altrettanto eccessiva conservazione. Tornando alle nostre terre, ai luoghi che abitiamo e influenzano la vita, il centro storico di Pietrelcina, il famoso Castello, si trova purtroppo in una condizione di sospensione e spopolamento. “Ncoppa Castiello”, espressione dialettale che descrive lo spirito di chi ancora ci abita, sembra relegata a un lontano passato, quando il rione abbarbicato sulla roccia, era abitato da un’umanità eterogenea. Salendo a piedi dopo avere superato Porta Madonnella, si cammina tra vicoli e le piccole corti in uno spazio che sembra fisso nel tempo.

La dura legge dell’economia, il mutamento degli stili di vita, un modello globalista scellerato che non premia la prossimità e considera gli antichi territori come un luogo folkloristico da animare solo in determinati periodi dell’anno, non aiutano a immaginare un futuro per il Rione Castello. Persino i turisti sono spesso smarriti con le loro domande: “ancora ci abita qualcuno?” oppure “voi vivete qui?” – è la classica reazione quando una porta si apre o quando ci vedono con una busta della spesa mentre rientriamo in casa.

I luoghi sono sempre dotati di una propria “individualità”, quella che il geografo Vidal de La Blanche chiamava la “personalità”, anche quando sembriamo non accorgercene perché troppo distratti dalla routine quotidiana. Sono certi caratteri identitari a dare forma e valore a un determinato quartiere.

Per quanto riguarda il centro storico di Pietrelcina sono opportune alcune azioni per migliorare la situazione. Prima di tutto, andrebbe creato un sistema per facilitare, nei limiti del possibile, l’accesso ai disabili. Nelle giornate di maggiore affollamento turistico, si dovrebbe predisporre l’ingresso dei viaggiatori in piccoli gruppi a numero chiuso per evitare lo sgradevole effetto “collo di bottiglia” quando gli abitanti del centro storico sono costretti a farsi largo tra la folla di turisti per raggiungere le proprie abitazioni. Questo consentirebbe ai viaggiatori di evitare lunghe code e di potere visitare il borgo e le stanze dove visse Padre Pio da giovane con più tranquillità. Noi abitanti, custodi del centro storico, abbiamo il dovere di preservare i luoghi e di averne cura, i turisti hanno il diritto una visita serena.

Più ambiziosa è l’idea di una trasformazione del centro storico con l’esperimento di installazione di strumenti e tecnologie “off grid” per produrre e soddisfare in autonomia i carichi energetici. In questo modo il Rione Castello potrebbe diventare un borgo autonomo e digitalizzato con la possibilità di trasformare case e stanze disabitate in spazi di lavoro e comunità.

Il centro storico di Pietrelcina potrebbe rinascere: servono pazienza per la ricerca dei fondi pubblici e idee creative per sottrarlo al declino.

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La Redazione 4 Febbraio 2025 0
BeneventoBlogCronacheCulturaDocumentiInchieste

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne? Va benissimo, ma perché aumentano?

Riprendere a scrivere dopo tanto tempo non è facile ma l’argomento non solo è di attualità ma è, per me, importantissimo: quello sulla violenza sulle donne.

Lo scorso 25 novembre c’è stata la giornata dedicata…belle le foto sui social, gli speciali sui tg e sui giornali. Tutto bello ma a che cosa serve?

Mi spiego.

La sensibilizzazione va benissimo ma deve essere seguita da fatti concreti.

I dati sulle denunce non diminuiscono, ma anzi aumentano.

Cosi come gli omicidi, le minacce, le violenze e cosi via.

Perché?

Dopo aver attentamente e giornalisticamente studiato il fenomeno (eh già mi hanno insegnato a studiare prima di affermare determinate cose), anche dalla parte normativa -cioè partendo dalle denunce fino ad arrivare ai tribunali- posso tranquillamente affermare senza tema di smentita che, codice rosso o meno, dalla denuncia della potenziale vittima alla lettura del fascicolo da parte del magistrato -e qui parlo solo di lettura, non di atti coercitivi- passano dai quattro ai sei mesi.

Solo in caso di flagranza di reato, difficili in molti dei casi come quelli citati prima, si può e si fa qualcosa in più.

Sennò si va avanti con una, due, cinque, dieci denunce nel frattempo che il magistrato incaricato valuti l’ormai enorme fascicolo e decida poi qualcosa al riguardo.

Non va bene, non va per nulla bene.

Se ci fate caso il più delle volte, nei femminicidi, le vittime avevano fatto più denunce. Avevano allertato più volte le forze di Polizia…ma il tempo trascorso aveva poi permesso all’assassino di mettere in pratica i propositi maturati nel tempo.

Le forze dell’ordine non hanno colpe visto il vincolo che li lega alle decisioni di un giudice.

E neanche i consigli che danno (allontanatevi, non rispondete, non reagite e cosi via) possono essere d’aiuto in molti dei casi.

Torniamo ai magistrati? Anche loro non hanno colpa visto le tante pratiche che si accumulano sulle loro scrivanie e non possono essere smaltite in breve tempo.

Si è fatto tanto per la sensibilizzazione, come ho detto, si è attivato un numero verde il 1522, alcune procure hanno attivato sportelli appositi, la normativa al riguardo è stata aggiornata anche con l’aggiunta nel codice penale del femminicidio. Rimane il blackout dalle denunce al fare qualcosa al riguardo (ad esempio obbligo di non avvicinarsi alla persona).

Passa troppo tempo e questo tempo, molte volte, è fatale per le donne che devono subire.

 

Felice Presta

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La Redazione 30 Novembre 2024 0
BeneventoBlogCronacheCulturaDocumentiInchieste

Inchiesta conoscitiva su attacchi di panico e altro negli ultimi tempi

Compito di un giornalista d’inchiesta è tenere sempre gli occhi e le orecchie bene aperte ed osservare ciò che succede intorno a lui e, quando si verifichino anomalie, cercare di dare delle risposte a queste.

Non sono un medico quindi cercherò di spiegare delle cose dal punto di vista del…paziente.

Negli ultimi tempi, diciamo nell’arco di un anno, con accelerazioni negli ultimi 6 mesi, c’è stato un incremento dei cosi detti STATI D’ANSIA E DI PANICO.

In che cosa consistono? Il corpo, sia pure respirando profondamente, sembra che non riceva abbastanza aria nei polmoni e quindi, il più delle volte, si è costretti a iperventilare per tornare alla normalità.

Non sempre ci si riesce e, appunto, si va nel panico.

In alcuni casi questi attacchi portano anche ad aritmie cardiache di media importanza.

Se siano connessi i due stati non lo so, per questo scrivo l’articolo, per fare in modo, con i vostri commenti, di avere un’idea più chiara di ciò che sta succedendo.

Potrei pensare che la presupposta mancanza di ossigeno, o la sensazione se cosi la vogliamo chiamare, porti poi ad un’accelerazione dei battiti del cuore e quindi all’aritmia. Questo lo dovrebbero poi spiegare i medici.

Questi sintomi, che ho avuto modo di constatare in prima persona, e poi con altre due persone vicine, vengono su uomini che hanno superato, o sono prossimi, alla cinquantina. Di donne non ne ho avuto notizie.

Questa anomalia è solo l’unica di tante altre verificatesi in un arco di tempo più ampio, diciamo due o tre anni e che vado ad elencare in ordine di casi.

  • Mal di schiena. Ma non quello normale bensì un dolore costante e persistente che può durare dai due ai sei mesi nella parte centrale alla fine della colonna vertebrale in prossimità del coccige. Una volta che il dolore è passato rimane, toccandosi, comunque quello sottocutaneo, come se si fosse preso una botta, e limita nei movimenti il corpo di chi lo ha subito.
  • Spossatezza, chiamiamola voglia di non fare nulla. Non si desidera uscire, stare con la gente, passeggiare eccetera. Io l’ho definita sindrome lockdown. Ma non è comunque uno stato mentale bensì fisico. E come se il fisico dicesse al corpo STAI A CASA. E quando non ci sei magari provoca un senso di insofferenza e indifferenza per il mondo fuori di essa.
  • Naso chiuso in modo perenne e anomalo. E qui entro in ballo ancora io. Pur avendo la deviazione del setto nasale che mi fa respirare male -per cui ogni anno consumo nel periodo invernale almeno una boccetta di decongestionante- quest’anno, da novembre ad oggi, ne ho consumati…cinque. Tra l’altro ho notato che il naso chiuso contribuisce alla sensazione della mancanza d’aria e della difficoltà a respirare.
  • Mal di testa continui e sinusiti
  • Sindromi influenzali che permango anche dieci, dodici giorni dopo che è passato lo stato febbrile. Magari con una ricaduta nel periodo immediatamente successivo.

Ci sono altri sintomi, che qui non elenco, perché trovati in giro in maniera minore.

Naturalmente non sto presupponendo che ciò sia dovuto al COVID o ai vaccini. Lo scrivo giusto per evitare eventuali diatribe tra chi si è vaccinato e chi no.

Fin qui quello che ho visto e trovato in giro. Prima di chiedere lumi magari a un dottore o a un esperto vorrei a questo punto il vostro parere e vedere se la cosa, in alcuni casi, è più generalizzata a differenza di altri.

Potete quindi commentare su questo articolo, telefonare al 338-2415614, oppure mandarci un’email a sannioreport@gmail.com .

Tutte le informazioni raccolte verranno catalogate per farne un elenco, dopodiché chiederò parere su queste anomalie fisiche che molte persone stanno avendo negli ultimi tempi.

Vi ringrazio fin d’ora per la collaborazione.

Felice Presta

 

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La Redazione 18 Gennaio 2024 0
BeneventoBlogCronache

Ospedale: la nostra solidarietà all’anziana signora che ha avuto il coraggio di sfogarsi

Ieri con un post ironico sui social e, avendo letto attentamente lo sfogo di una signora anziana al pronto soccorso cittadino, ho scritto:” Se dovessi stare male non mi portate al pronto soccorso, uccidetemi subito”:

Una provocazione? Sicuramente, ma anche la constatazione di un’amara realtà dove, ascoltando le persone, episodi di una gravità assoluta si moltiplicano a dismisura.

Tutto ciò è dovuto al covid? Sicuramente, ma ciò non toglie che si sta perdendo l’umanità che dovrebbe esserci in un posto che si dovrebbe definire ospedale.

E veniamo a un caso per far capire.

Sto male mi accompagnano al pronto soccorso.

Entro con un codice, verde rosso giallo blue indaco violetto, non è importante.

E mi mettono su una barella e poi in una stanza nel migliore dei casi. Nel peggiore rimango sulla barella e rimango nei corridoi in attesa di un posto.

Da solo.

Nessuno sa quando passeranno a visitarmi e se lo faranno. Vedi infermieri che vanno avanti e dietro, dottori esauriti dal superlavoro.

E intanto tu rimani li e i tuoi cari fuori.

Passa il tempo tu non sai niente. Quindi comunichi con il cellulare, in questo caso una benedizione, all’esterno che non sai nulla…tutti aspettano. Tu degente, i tuoi parenti fuori, gli infermieri che non sanno che dirti.

Hai fame? Hai sete? Devi aspettare qualche anima pia, oppure avere la forza di alzarti (ma se sto male e non riesco a muovermi? ) e andare a un distributore automatico.

Passa un medico, guarda la cartella, scrive degli esami e ripone la cartella.

“Dottore quando li devo fare questi esami?”. “Appena possibile!”

E intanto tu aspetti li. Posso mangiare? Posso bere? Visto che qualcuno è riuscito a portarmi qualcosa da mangiare e da bere? Boh, non ti dicono nulla. Devo fare una tac? Una risonanza? Guardo sulla cartella e i geroglifici non mi dicono nulla.

Ci sarà uno scienziato addetto che li tradurrà dall’aramaico antico.

“Infermiere mi sento male”, “Non si preoccupi è momentaneo adesso vedo di portarvi qualcosa per il dolore”.

Si giusto un po’ di acqua benedetta, forse.

Dopo 12 ore perdo la pazienza e inizio ad averne abbastanza e chiamo tutti quelli che mi passano davanti…tutti rispondono che tornano subito e non li rivedo più. Vedo facce nuove, avranno finito il turno quelli di prima, fermo qualcuno e spiego cosa mi è successo. Stessa cosa, torniamo subito.

Mi sento sempre peggio e oltre a fare le telefonate ai parenti all’esterno che non sanno cosa fare oltre che a cercare raccomandazioni per entrare almeno uno e venire ad accudirmi o almeno a starmi accanto.

Ma c’è il COVID non si può. Mascherine a gogo, gente sulle barelle che come me chiama, o perde la pazienza.

Gente anziana abbandonata senza assistenza, ma chi dovrebbe assisterla se non i suoi parenti? Che però non lasciano entrare.

Vabbè alla fine o muoio oppure riescono a salvarmi per miracolo (nel senso che un medico si ferma, si accerta quello che ho, mi da la cura o da le indicazioni agli infermieri e vengo salvato). Dopo 36 ore sia ben chiaro.

In pratica è una lotteria, macabra ma sempre lotteria.

Se ti capita qualcuno buono ti salvi, sennò hai voglia di morire, solo.

Sono solidale con l’anziana signora che si è sfogata in maniera civile contro questo andazzo in un pronto soccorso, in questo caso di Benevento, ma poteva essere di qualsiasi altra città.

E il racconto anche ironico fatto era solo per sottolineare un fatto di per se evidente: la sanità pubblica è al collasso, chi può scappa dagli ospedali (e parlo di dottori) per andare in posti più tranquilli ed efficienti. Gli infermieri fanno quello che possono, diventando nervosi loro e facendo innervosire anche i pazienti che qualche volta sclerano (comportamento da censurare naturalmente).

E l’ultima realtà è che si muore più facilmente di prima dentro gli ospedali e non per covid.

La politica dovrebbe riflettere su questo ultimo dato!

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La Redazione 15 Dicembre 2023 0
BeneventoBlogCulturaDocumenti

Salutiamo i reperti di piazza Cardinal di Pacca (piazza Santamaria)

Come ho più volte scritto parlare di Cultura in questa città (dove per cultura si intende anche e soprattutto la valorizzazione del nostro patrimonio storico-archeologico) sta diventando ogni giorno sempre più difficile. Per l’ignavia di cittadini e amministrazioni, certamente, ma anche per il fatto che quei pochi “CHE FANNO” non riescono a mettersi d’accordo unitariamente per presentare progetti e quant’altro in modo da costringere chi di dovere ad ascoltare. Poi c’è l’onda lunga del “momento” come quella di piazza Cardinal di Pacca, cioè una micro sollevazione-indignazione popolare che porta la politica e la sovrintendenza a cambiare i Progetti (sbagliati) iniziali. Molto lo si deve all’opposizione al Comune di Benevento con i consiglieri come Moretti e Perifano che, carte alla mano, hanno costretto al cambio.

Martedì 27 giugno ci sarà una manifestazione a questo proposito, e precedentemente anche una raccolta di firme, che secondo il sottoscritto lasciano il tempo che trovano. Anche perché la decisione già è presa: si ricopre tutto. Perché? Perché l’amministrazione non ha interesse a recuperare l’area, la sovrintendenza si nasconde dietro “non teniamo soldi” e quindi rimane ciò che è stato deciso.

Si farà un infopoint light, il prossimo anno torneranno le giostre e tutto finirà nel dimenticatoio.

Come dite? Perché ne sono cosi sicuro? Perché sono esperienze già vissute in precedenza, con i Sabariani, con Torre Biffa, con Cellarulo, i resti del mercato romano del Malies e cosi via…

La storia degli ultimi trent’anni è costellata di episodi del genere e non si è mai trovata la via per un recupero o per una valorizzazione adeguata di ciò che abbiamo, di ciò che sappiamo di avere e di ciò che troveremo spostando 10cm di asfalto. Un discorso settoriale in questo senso, sulla spinta emozionale del momento, non serve a nulla tantomeno a ciò che c’è sotto piazza Cardinal di Pacca. L’ho detto e lo ripeto: è meglio che vengano risotterrati i reperti trovati perché altre soluzioni economiche non ce ne sono. Una sola ipotesi è possibile nel caso si voglia realmente attuare un progetto di valorizzazione dei reperti sulla piazza. Creare una struttura fissa che protegga dalle intemperie e non lastre di plastica che, dopo un paio di anni complice l’umidità della città, non faccia più vedere ciò che si cela li sotto.

Dal discorso sembro sfiduciato? Certamente, e state parlando con chi ha messo in piedi l’operazione Santi Quaranta, ripulito e fatto diventare di proprietà comunale il campanile di Santa Sofia e ripulito i resti dell’anfiteatro gratuitamente (adesso daranno a una ditta 25 mila euro circa per fare la stessa cosa). Ci vuole programmazione economica, una visione di città che da 40 anni non c’è mai stata, ci vuole impegno, fatica e sudore. Ma è meglio tagliare nastri e accedere al successivo buffet piuttosto che fare una cosa del genere. Ci si stanca di meno.

Felice Presta

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La Redazione 22 Giugno 2023 0
BlogCultura

Da Lisbona a Calicut: il viaggio di Vasco Da Gama

 

A Lisbona sulla riva del fiume Tago, di fronte al Monastero dos Jerónimos, si vede l’imponente Padrão dos Descobrimentos, il Monumento alle Scoperte che celebra tutti i navigatori portoghesi che tra il XV e XVI secolo scoprirono nuove terre e tracciarono le più importanti rotte commerciali contemporanee. L’enorme caravella di pietra è decorata su entrambi i lati da un gruppo scultoreo che rappresenta i protagonisti delle grande imprese marinare del Portogallo: navigatori, cartografi, colonizzatori, missionari, guerrieri, scrittori, re e regine. Tra questi non poteva mancare il nome di Vasco da Gama e di lui vogliamo raccontare, approdo dopo approdo, uno delle sue traversate memorabili alla ricerca di un regno leggendario.

Nel 1497 Manuele I, re del Portogallo, individua nel giovane comandante Vasco da Gama il navigare più preparato per completare il lavoro cominciato da Barlomeu Dias, che dieci anni prima aveva doppiato l’Africa meridionale, scoprendo finalmente il passaggio tra l’Oceano Atlantico e l’Indiano. In quel tempo i veneziani detenevano il monopolio del commercio delle spezie e la corte portoghese aveva intenzione di spezzare questo equilibrio, fonte della sterminata ricchezza e della potenza della Repubblica del Leone. La noce moscata, la cannella, il pepe, i chiodi di garofano sono beni preziosi come l’oro e bisogna organizzare una vasta operazione per accaparrarseli. Il nobile Vasco da Gama, nato 28 anni prima a Sines, nell’Alentejo, sembra al re portoghese l’uomo giusto e malgrado le perplessità del suo entourage, autorizza la preparazione di una spedizione per aprire nuove rotte commerciali, aggiungendo un elemento religioso con il desiderio di evangelizzare quelle terre lontane dove si pensava vi fosse il regno del misterioso Prete Gianni. Vasco da Gama ha due qualità: è un abile comandante e sa combattere, infatti cinque anni prima aveva catturato alcuni vascelli francesi che minacciavano il Portogallo.

8 luglio 1497. Le partenze dalla foce del Tago non sono una novità per gli abitanti di Lisbona. Quelle navi che salpano per terre lontane e sconosciute, sono uno spettacolo da non perdere: rulli di tamburi, tuoni di cannone, squilli di tromba e bandiere al vento. Quel giorno si preparano a solcare l’oceano anche le quattro unità al comando di Vasco da Gama. Sono la Sao Gabriel, un veliero da circa 150 tonnellate con le insegne dell’ammiraglio e sotto il suo comando; la Sao Rafael, più o meno della medesima stazza, affidata al fratello Paulo da Gama; assieme con loro salpano la più piccola caravella Berrio e una quarta unità ausiliaria, la nave delle salmiere, poco considerata a tal punto da essersi perso il nome. Non sono semplici vascelli, sono stati costruiti appositamente seguendo i suggerimenti di Bartolomeu Dias che conosce bene quali caratteristiche debbano avere le unità destinate ad andare oltre il Capo di Buona Speranza. Si imbarca anche lui per dare consigli e indicazioni, insieme a 170 uomini che formano l’equipaggio.

La navigazione procede tranquilla fino alle Canarie, dove una nebbia intensa fa disperdere la flottiglia che si ricongiunge all’altezza di Capo Verde. Dias torna indietro. Mentre da Gama vuole mostrare di potercela fare rischiando molto: niente navigazione sotto costa, come si usava in quel periodo, ma in pieno oceano, seimila miglia di mare e almeno tre mesi di navigazione senza vedere terra. Anzi, per sfruttare i venti favorevoli, il portoghese sceglie la rotta verso sud-ovest che lo allontana ulteriormente dall’Africa. Sarà il più lungo viaggio in mare aperto compiuto fino a quel momento.

4 novembre 1497. Dopo una virata, la spedizione lusitana sbarca in un punto della costa sudoccidentale del continente dove i marinai mangiano foche, balene, gazzelle e radici. L’incontro con la popolazione locale dapprima sembra pacifico, ma poi aumenta la tensione e cominciano gli scontri con l’equipaggio e lo stesso Vasco da Gama che resta leggermente ferito da una freccia. Il convoglio riprende il mare. Ormai l’Oceano Indiano è vicino e, superato capo Agulhas, la punta più meridionale dell’Africa, le navi abbandonano l’Atlantico.

16 dicembre 1497. Percorse un centinaio di miglia, le navi si avvicinano alla baia di Mossel, il punto estremo raggiunto dalla precedente spedizione di Dias. Da lì si aprono 800 miglia di mare inesplorato prima di raggiungere i porti musulmani dell’Africa, dove sarà possibile trovare piloti. L’ammiraglio ordina di prendere terra, la nave più piccola, viene bruciata e le provviste rimanenti sono trasferite a bordo delle tre unità. Il 25 dicembre Vasco da Gama decide di chiamare Natal quella regione australe; nome conservato ancora oggi dalla provincia sudafricana di KwaZulu-Natal. Le navi ripartono dopo tredici giorni di sosta, con i marinai che affrontano un altro incontro ostile con gli indigeni che alla loro partenza demoliscono la colonna che i portoghesi avevano innalzato in memoria dello sbarco. Meno tesa è la situazione sul fiume Limpopo, nell’attuale Mozambico, dove le popolazioni seppur armate, si comportano si dimostrano amichevoli.

22 febbraio 1498. I portoghesi hanno un primo contatto con un musulmano alla foce di un fiume e dopo qualche giorno approdano vicino all’odierna città di Nacala. Qui c’è un importante porto e cantiere arabo, dove finalmente trovano i carichi di spezie, pietre preziose e altre materie. I marinai arabi spiegano ai Portoghesi che il regno del Prete Gianni si trova all’interno, a soli quattro giorni di viaggio. Il sultano all’inizio pensa che i nuovi venuti siano dei fratelli musulmani e li tratta amichevolmente, poi quando si rende conto che non è così, comincia a trattarli con disprezzo e disdegna i doni ricevuti. Vorrebbe delle pezze di panno rosso che i lusitani dicono di non avere perché hanno deciso di regalare al re di Calicut. La fama del tessuto noto come “scarlatto di Venezia” è giunta fino alle propaggini estreme del mondo musulmano. A questo punto l’atmosfera si fa tesa e Vasco da Gama decide di riprendere la via del mare, ma i venti contrari costringono le navi a tornare da dove sono venute. La situazione precipita. Scesi a terra per fare scorte d’acqua, i portoghesi vengono aggrediti. In tutta fretta, imbarcano due piloti arabi, pratici di carte e bussole e si dirigono verso Mombasa. Lì stesso copione: accolti perché creduti musulmani, l’atteggiamento delle popolazioni locali cambia quando si rendono conto di avere a che fare con cristiani. Tentano addirittura di catturare le navi con un attacco notturno. Di nuovo in mare, direzione Malindi, dove basta un giorno di navigazione. La situazione cambia completamente, l’ambiente è rilassato, nella città keniota è possibile imbarcare frutta fresca, grano e ortaggi e, dopo aver ingaggiato un altro pilota, originario di Alessandria d’Egitto, si riparte.

24 aprile 1498. Le navi tolgono le ancore dall’Africa dirigendo le prue verso l’India. Dopo 23 giorni di navigazione le vedette nelle coffe scorgono le montagne: sono arrivati a destinazione. Il 20 maggio i Portoghesi ormeggiano a Calicut, ovvero l’odierna Kozhikode, sulla costa del Malabar, nella regione indiana del Kerala. È il principale porto delle spezie dove caricano i Veneziani. L’ammiraglio ricorda un aneddoto: due mercanti tunisini si rivolgono a quel gruppo di europei in genovese. Nel porto circolano monete d’oro arabe, ducati veneziani e genovini; si può bere il vino dolce di Creta e altre specialità provenienti da tutto il mondo.

Calicut viene descritta con meraviglia: decine di elefanti addomesticati vengono cavalcati e utilizzati persino per varare le navi. Il Re è fuori città, ma rientra non appena apprende dello sbarco degli Europei e manda a chiamare Vasco da Gama in attesa sulla nave. Questi sbarca con dodici uomini e un migliaio di persone li scortano fino al palazzo reale, dove vengono accolti dal sovrano in un ambiente di lusso e splendore. Ma quel che più conta agli occhi dei portoghesi è la zona portuale: sono agli ormeggi oltre cinquecento imbarcazioni e ogni anno arrivano fino a 1500 navi arabe che trasportano le spezie al Golfo Persico, dove poi vengono sbarcate per raggiungere con i cammelli Alessandria d’Egitto. Nessuna mercanzia europea viene considerata interessante, salvo il lino: i marinai riescono a piazzare molto bene alcune camicie in cambio di spezie. Anche qui i rapporti con il re si guastano, un po’ per i doni giudicati scadenti, un po’ per via degli Arabi che non gradiscono l’arrivo dei portoghesi. Lo zamorin (sovrano) fa arrestare i marinai e si convince a lasciarli andare solo trattenendo qualche ostaggio.

29 agosto 1498. Le navi di Vasco di Gama lasciano Calicut. La traversata dell’Oceano Indiano che all’andata aveva richiesto una ventina di giorni, ora, a causa dei venti contrari, dura alcuni mesi. Lo scorbuto uccide una trentina di marinai e una volta raggiunta Malindi, il comandante fa bruciare una della navi per completare gli equipaggi delle due navi superstiti. Siamo a febbraio quando le navi riprendono il mare, il 20 marzo doppiano Capo di Buona Speranza, a luglio raggiungono le Azzorre, dove muove Paulo da Gama. Il 9 settembre 1499, dopo oltre 24 mila miglia di mare, Vasco da Gama, rientra da trionfatore a Lisbona.

Il ritorno e il nuovo viaggio.

Tornato in patria, riceve dal re Manuele I la nomina di Ammiraglio dell’Oceano Indiano, con relativa gratifica e concessione del feudo di Sines, ma ha poco tempo per riposarsi. Il 10 febbraio 1502 ricomincia con una spedizione di una ventina di navi, una flotta importante per posizionare degli avamposti portoghesi sulle terre esplorate e rafforzare la potenza marittima del Portogallo. Si fermano a Sofala, in Mozambico, obbligando il sovrano locale a versare un contributo, poi giungono a Kilwa, in Tanzania attivando una rotta commerciale. Nel frattempo a Vasco da Gama giunge la notizie dell’attacco subito dalla spedizione guidata da Pedro Alvares Cabral a Calicut. A quel punto riprende il mare e al largo della costa del Malabar attacca le imbarcazioni dei mercanti arabi, quindi sfrutta le rivalità locali e si accorda con il re di Kannur, una città a 100 chilometri da Calicut. Qui appena giunto, non ottenendo dal sovrano quanto richiesto, ordina di bombardare la città. Durante il viaggio di ritorno stipula un trattato a Cochin l’attuale Kochi e riempie le stive di spezie. Tornerà ancora una volta in India, nel 1524 per morire a Cochin a causa della malaria.

 

FELICE PRESTA

 

 

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La Redazione 4 Maggio 2023 0
Benevento

Mastella e i suoi manifesti

Il sindaco Mastella vive in un recinto di autoreferenzialità, attorniato da una corte dei miracoli che improvvisa un racconto dalla trama piena di inesattezze. La città è tappezzata da un manifesto tragicomico, con la solita foto del sindaco riciclata più volte, buona per tutte le stagioni politiche e atmosferiche.
“La città che attrae che lavora che cresce”.
“Il modello Benevento”.
Descriviamolo bene il presunto “modello”.
Con una tecnica di comunicazione dozzinale, si mescolano verità e menzogne per suggestionare.
Del resto, come scrisse Guy Debord, “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso”.
1. La Solitek Industry sta investendo nell’area industriale di Ponte Valentino per la realizzazione di uno stabilimento per la produzione di moduli fotovoltaici e batterie di accumulo.
Solo che dovete per correttezza scrivere che la fabbrica sarà attiva a partire dal terzo trimestre del 2024 e il piano industriale sarà pienamente operativo a partire dal 2026 con una “previsione” di 320 lavoratori;
2. La città che lavora e che cresce?
Dal 2017 Benevento ha perso poco più 3700 abitanti. Forse è opportuno scrivere la città che si svuota. A questo dato bisogna aggiungere le persone che vivono lontano dalla città ma ancora conservano la residenza (circa il 12-15%);
3. La città che “lavora”, ha un tasso di disoccupazione reale del 14%. Il lieve miglioramento dei parametri economici è causato dal progressivo spopolamento che allenta la pressione sul territorio dove restano i pochi lavoratori stabili, una massa di precari con redditi indecenti e i pensionati.
4. La battuta sul Lussemburgo è simpatica. Forse il Sindaco si è ricordato di averlo avvistato in volo in una delle sue rare escursioni a Bruxelles quando frequentava le istituzioni europee.
Solo che il Prodotto Interno Lordo del Granducato (634mila abitanti) è di 85 miliardi di euro mentre la nostra provincia è la più povera della Campania.
Felice Presta

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La Redazione 15 Aprile 2023 0
BeneventoCultura

Gigi e Ross direttori artistici del Benevento Social Film Festival ArTelesia

Gigi e Ross direttori artistici del Benevento Social Film Festival ArTelesia

La quindicesima edizione del Social Film Festival è stata affidata dall’Associazione Libero Teatro a Gigi e Ross, i due attori comici partenopei noti al grande pubblico per la partecipazione e la brillante conduzione di diverse trasmissioni televisive. La scelta, auspicata da alcuni anni, dall’ideatore del Festival, Francesco Tomasiello, non è solo riferibile alla professionalità, al talento artistico, al dinamismo dei due attori mattatori, formatisi presso l’Accademia di arte drammatica Bellini di Napoli, bensì alla carica umana e alla sensibilità per le tematiche sociali che rappresentano il cuore pulsante del Festival. L’incontro con Gigi e Ross è stato fin da subito ricco di input, progetti, proposte, il tutto in un clima di simpatia e cordialità che contraddistingue il loro modo di essere, autentico e sincero, davanti e dietro la camera. Grazie a loro il Festival si prepara a vivere una stagione di rinnovamento, con tante sorprese e novità per gli amanti del cinema e dell’arte. Quello che Francesco auspicava si è realizzato: un incontro di persone e di storie, prima ancora che di artisti, e la loro esperienza sul campo rappresenterà il quid per il futuro del festival, conservandone e preservandone la sua storia. I due direttori artistici saranno coadiuvati, nel lavoro che durerà, a partire a oggi, diversi mesi, dal comitato direttivo che rappresenta la task force del Festival nelle persone di Mariella De Libero, Antonio Di Fede, Sergio Colantuono, Marvin Tomasiello, nel ruolo di Festival coach, Rosa Barone, Mariasimona Marrone, Stefano Addabbo, Veronica Spiotta, Lupo Tomasiello e Franco Francesca, in qualità di Direttore creativo del Festival. Con tutte queste persone Gigi e Ross hanno creato immediatamente un rapporto sinergico fondato sulla fiducia reciproca e sulla condivisione degli obiettivi artistici e sociali da conseguire nell’alveo delle parole chiave: Equità diversità inclusione disabilità e sostenibilità.

 

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La Redazione 11 Aprile 2023 0
Cultura

Una breve storia del potere

Nel 2018 il giornalista e storico britannico Simon Heffer, ha scritto un saggio intitolato “Una breve storia del potere”, dove descrive e ricostruisce le dinamiche evolutive del potere politico agganciandole a quattro variabili fondamentali, utilizzate come bussola per orientarsi: territorio, ricchezza, religioni e ideologia. Oltre alla descrizione ricca di dati storici, dall’epoca classica al XXI secolo, Heffer propone una determinata idea del potere che tiene insieme due elementi: il realismo che descrive l’inevitabile conflitto interno ed esterno alle società e il liberalismo, come metodo di limitazione dello stesso potere politico e filosofia della libertà poggiata sull’individuo.

Heffer rifiuta tutte quelle interpretazioni “universaliste” che considerano la storia come un ineluttabile progresso volto a delineare quello che con un’immagine carica d’ironia, il sociologo americano Christopher Lasch chiamava “il paradiso in terra”.

D’altronde la convinzione di potere esportare dei modelli occidentali al resto del mondo, senza considerare i caratteri peculiari degli altri popoli, si è rivelata piena di difetti alla prova dei fatti. La storia non è destinata ad esaurirsi con la vittoria totale delle democrazie. Per quanto riguarda il liberalismo, l’espressione va intesa in senso più ampio e non con riferimento a una specifica dottrina moderna. Heffer assume una posizione di sintesi tra il liberalismo classico del Novecento e le critiche rivolte a questo da due autori come Max Weber e Carl Schmitt.

Il liberalismo classico, infatti, intende limitare ed irreggimentare nel più ampio modo possibile il conflitto per il potere politico imbrigliandolo nella dimensione giuridica, cioè in regole fondamentali e inderogabili da chi detiene il potere e nella contrattazione tra le parti, basata su dialogo e scambio. Su questo punto la storia dimostra il contrario: il conflitto per il potere non può essere espunto dalla dinamica politica, la conflittualità delle idee non si può addomesticare con le formule giuridiche buone per tutti ma solo per un tempo breve e limitato. Heffer appartiene a quella schiera di studiosi che mettono sempre in conto la possibilità dell’avvento di movimenti politici che rompono certi equilibri, nel bene e nel male, così come non è detto che un sistema in apparenza liberale non possa degenerare nel suo contrario.

La politica può produrre, con una certa regolarità, effetti che destabilizzano l’ordine politico. Citando ampiamente il saggio famoso di Edward Gibbon “Declino e Caduta dell’Impero Romano”, dimostra come un sistema di potere possa indebolirsi, decadere e collassare. Questo perché le regole costituzionali, garanzia di libertà personali, e l’organizzazione statuale che a partire dal diciannovesimo secolo ebbero un grande sviluppo, hanno dato prova di non riuscire mai ad imbrigliare completamente la politica, a neutralizzarne alcuni effetti disordinati, così come non sono sempre garanzia di protezione da poteri esterni, tecnocratici, in grado di condizionare l’ordine politico.

I sistemi costituzionali e gli equilibri dello scacchiere geopolitico, sono sempre esposti alla tempesta delle trasformazioni imposte dal politico, dall’insondabile conflittualità in tutte le sue forme più o meno razionali. Heffer nella sua analisi del potere non si conforma totalmente a Schmitt che riconduce tutto allo Stato, ma considera la presenza del politico come qualcosa che trascende questa realtà, qualcosa di necessario che sta dentro e fuori dall’entità statuale, si dipana in molteplici livelli senza risolversi una volta per tutte.

Questo affresco sulla realtà dei fatti intorno al conflitto politico, ci offre molti spunti. Max Weber ormai un secolo fa, ricordava come lo Stato rappresentasse un grande processo di razionalizzazione del potere politico in Occidente che è avvenuto prevalentemente attraverso due vettori: il monopolio legittimo della violenza e il dispiego dei suoi effetti sopra un territorio limitato. Questo percorso si è raffinato con la creazione di una burocrazia centralizzata, un esercito e altri elementi di comando che sopravvivono alle stagioni politiche. Lo Stato come edificio giuridico, va oltre la vita dei suoi vertici politici. Con una analisi ancora più elegante, il grande storico Ernst Kantorowicz riferendosi ai “due corpi del Re” li descriveva come uno fisico, carismatico e l’altro giuridico, impersonale e pubblico.

Nella concezione realista espressa dal libro c’è anche un richiamo implicito al problema della degenerazione delle democrazie in Stati totalitari, secondo la visione espressa da Bertrand de Jouvenel in Del Potere. Storia naturale della sua crescita. L’intellettuale francese mostrava con chiarezza il percorso di accrescimento del potere dalle sue origini nell’età moderna fino agli Stati totalitari del XX secolo e argomentava efficacemente sul fatto fondamentale per cui la democrazia, quando la penetrazione sociale dello Stato è profonda, non è in grado di fornire alcuna garanzia di tutela delle libertà individuali. Ciò, in particolare, quando tendevano a prevalere quelle correnti di pensiero, legate alla tradizione del diritto positivo, secondo cui tutto il diritto discendeva dall’autorità politica e per cui questa si trovava ad essere allo stesso tempo formalmente vincolata al diritto che solo essa stessa poteva creare. Un sofisma che si presta a forme di dispotismo nella società.

Spostandoci nel campo delle relazioni internazionali, Heffer considera tribunali, regole ed enti sovranazionali come la rappresentazione dell’ordine politico globale, creato dai vincitori in una determinata fase storica. Istituzioni fragili che esprimono dei semplici rapporti di forza tra Stati. Interessanti sono anche le considerazioni relative al rapporto tra politica e religione. Per l’Occidente il percorso di razionalizzazione del potere, ha significato anche secolarizzare le istituzioni pubbliche e passare dal patto-giuramento sacralizzato con Dio al patto tra cittadini come elemento fondamentale alla base del potere spersonalizzato dello Stato.

Da ultimo emerge sullo sfondo del saggio di Heffer la profonda relazione tra ordine politico e sviluppo capitalistico. La ricchezza della produzione e del commercio, originata dal pluralismo istituzionale occidentale, si fonde con i destini degli Stati e la propria influenza geopolitica. L’apertura dei mercati oltre i confini nazionali, caratteristica attribuibile in primo luogo agli imperi della storia moderna e dal ventesimo secolo agli Stati Uniti d’America, diviene un potentissimo meccanismo per l’espansione del potere. Lo stesso capitalismo trasforma e viene allo stesso tempo trasformato dal potere politico nelle varie fasi della storia. Lo Stato si era abbondantemente servito del capitalismo per espandere la propria sfera d’influenza politica provvedendo a tutto ciò che ai grandi capitalisti pesava sostenere come le infrastrutture e l’assistenza sociale. Tuttavia, come anche Heffer mostra, una eccessiva interrelazione tra capitalismo e statalismo può scadere in pericolosissime degenerazioni: monopoli, cartelli, oppressione fiscale e burocratica, depressione economica e, in definitiva, collasso del sistema economico e politico. Uno strumento, lo Stato, può facilmente divenire padrone dei popoli, nemico della libera iniziativa economica, tiranno dei mezzi di produzione, pianificatore di un capitalismo concentrato e clientelare, bisognoso di conflitti esterni per giustificare la propria espansione e il mantenimento del potere da parte dei governanti.

Come annotava profeticamente Hannah Arendt nel 1969: “Oggi dovremmo aggiungere la più recente e forse più formidabile forma di dominio: la burocrazia o il dominio di un intricato sistema di uffici in cui nessuno, né uno né i migliori, né i pochi né i molti, può essere ritenuto responsabile, e che potrebbe […] essere definito come il dominio da parte di Nessuno”.

Attualmente assistiamo a una trasformazione dello Stato e del potere pubblico. Esso nel corso dei decenni ha gradualmente ridotto il suo intervento nelle dinamiche economiche ma ha aumentato regolamenti e adempimenti burocratici. In molti casi un allargamento smisurato che ha moltiplicato il potere delle burocrazie depoliticizzate. In conclusione resta sullo sfondo un’altra domanda: Chi governa il mondo? La frammentazione dei regolatori globali, la loro composizione mista fra pubblico e privato e l’interventismo attraverso norme che discendono dal contesto internazionale o sovranazionale, sono tutte caratteristiche emerse con maggiore forza negli ultimi decenni.

Pierre Rosanvallon, utilizza il termine “Contre-Démocratie” (contro-democrazia) per descrivere quegli organi depoliticizzati, come le authorities e le agenzie amministrative espressione di un nuovo interventismo statale e un diverso bilanciamento dei poteri volto a contrastare la rappresentatività democratica in favore di poteri spuri e sovrastatali. Il potere non è evaporato, ma si è disaggregato. Si è fatto infrastrutturale, sottile e penetrante, volto ad estendersi in orizzontale più che in verticale, ad usare il diritto più della violenza come strumento di coercizione.

Questa metamorfosi non rende il potere meno pericoloso per le libertà individuali né tantomeno riesce a neutralizzare il Politico, come l’estremizzazione delle forze politiche delle democrazie occidentali dimostrano. Questa inquietudine si riverbera anche sul fronte geopolitico, come nota acutamente Simon Heffer, dove le democrazie liberali sono in affanno e le potenze a capitalismo autoritario, hanno scoperto una nuova realtà del potere che coniuga l’adesione ai principi della concorrenza globale a quello dell’autoritarismo dispotico. Un altro mito, quello del rapporto speculare tra libertà economica e politica, è già sfumato. Un concetto afferrato, seppur in termini diversi, anche dallo stesso Simon Heffer che scrive: “La rivalità esiste ancora, anche se lo sviluppo delle civiltà prescrive che alcuni dei rivali naturali debbano trovare metodi più discreti per entrare a far parte del gioco. Il trionfo della democrazia liberale resta una vittoria incompiuta”.

 

FELICE PRESTA

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La Redazione 29 Marzo 2023 0
Cultura

Coreografare i conflitti

Osservando i moti interiori, aprendo gli occhi all’esterno, è semplice fare esperienza del conflitto. Scontro, urto, opposizione, guerra se attingiamo dai sinonimi, comunicazioni interdette. Forme di resistenza inconsapevole, talvolta, e di attaccamento alle strategie e schemi comportamentali sedimentati nelle memorie. Coniando possibili immagini: posture esistenziali che delineano le nostre passeggiate nel mondo e ci differenziano dagli altri. Le nostre storie potrebbero essere lette come danze dei conflitti.

Ve n’è una in particolare che vorrei raccontare per consentirci di guardare diversamente al conflitto, e di pensare a esso fisicamente. È quella della ricerca condotta dalla danzatrice e scrittrice Dana Caspersen moglie e brillante interprete di Forsythe, alla cui firma si devono una serie di pratiche coreografiche pubbliche che indagano dinamiche relazionali complesse, i cosiddetti conflitti distruttivi perpetrati in una dimensione sistemica. Il passaggio tra la danza, la coreografia alla risoluzione dei conflitti nell’immaginario della danzatrice è davvero breve per la Caspersen, rappresentando un percorso di ricerca e di scelta nel caos degli eventi possibili. Quali forme di negoziazione nel presente che evitino la ripetizione fine a sé stessa.

Dana Caspersen

Ciascuna decisione risente di fondamentali categorie comportamentali: la spaziale, temporale, ritmica, formale, relazionale e la percezione interiore. Esse appartengono ai processi di risoluzione dei conflitti così come alla coreografia. Da qui il suo interesse ad applicare le strategie coreografiche all’indagine del conflitto, affinché gli abituali schemi comportamentali vengano portati alla luce a consentirci una possibilità differente.

Per meglio comprendere i suoi esperimenti, parleremo di alcuni progetti da lei ideati per portare nuova consapevolezza su complessi temi sociali come la violenza, il razzismo, il sessismo.

Il primo è un dialogo coreografico pubblico sull’immigrazione che accade a Berlino dal titolo Knotunknot. La coreografa invita persone con trascorsi d’immigrazione a collocarsi nello spazio rispondendo alle domande: Chi è tedesco? Chi ha discendenza tedesca? Chi non si identifica con sicurezza? Lo spazio, a sua volta è stato suddiviso in triangoli a rappresentare le possibili risposte. A Ciascuna risposta la propria porzione spaziale. Un’interrogazione sul concetto d’immigrazione che trova nella coreografia il metodo e invita il corpo a creare una corrispondenza tra il sistema di valori in cui si crede e lo spazio che si abita.

Interessante notare come cambiando la domanda, anche la posizione spaziale si modifica, allentando così le barriere fisiche e d’identità, il concetto di appartenenza. Al termine della coreografia, quasi chiuso un primo atto, se ne apre un secondo supportato dalla dimensione verbale. L’ambiente viene sagomato attraverso la presenza di venticinque tavoli e le persone presenti suddivise in modo tale che non si conoscano tra loro. Nuove domande inerenti l’esperimento appena provato verranno poste e la prima persona avrà un tempo limitato per rispondere e cambiare tavolo. La ristrettezza del minutaggio permette di introdurre oltre alla categoria spaziale, quella temporale che opera in modo da far vacillare le strategie di risposta per entrare in medias res.

La Caspersen continuerà sviluppando il proprio modello di dialoghi coreografici pubblici trapiantandolo in ambiti diversi, occupandosi della creazione di gruppi di comunicatori che prendano fisicamente e visivamente consapevolezza delle proprie modalità di comunicazione. La variante visuale si lega all’esperimento proposto presso l’Accademia di arti visive di Francoforte, dove sui tavoli di discussione vengono posti dei fogli sui quali è richiesto di lasciare una traccia durante il proprio turno di parola. I fogli poi stampati, messi al suolo, ricodificano il linguaggio verbale in gesto fisico accessibile ai partecipanti.

L’ultimo progetto di questa storia Violence:Recode propone una riflessione sullo spazio che le violenze strutturali occupano nel corpo e l’impatto della nostra posizione in esse. Come posturalmente ci si colloca nella società? La ricerca espone l’osservatore partecipante a una serie di posture, per esempio un uomo seduto, cui seguono due affermazioni: un uomo che aspetta sua moglie – un uomo che aspetta suo marito. I presenti spesso risentono di un cambiamento nel corpo quale effetto della sedimentata discriminazione di cui spesso siamo solo razionalmente e verbalmente coscienti.

I dialoghi coreografici della Caspersen sottendono l’idea di una responsabilità indivuale, spesso incoscia e incorporata, nel perpetrare gli schemi distruttivi sociali, posturalmente agiamo ripetendo dinamiche conflittuali non creative. La speranza è quella di aprire gli occhi da danzatori attenti ai nostri schemi motori nel navigare nella coreografia sociale e approcciare il conflitto come luogo di tensione dinamica, in cui le possibilità possano essere agite. Così facendo la comunicazione accoglierebbe il principio di opposizione come forza creativa e metterebbe in gioco la curiosità, capace di trasformare la nostra percezione soprattutto in situazioni di contrasto, perché è essa a determinare la differenza nell’ascolto, a trasformare il suono dell’attacco in informazione da conoscere.

Il prologo di questa storia è ancora da scrivere e danza nella domanda: quali coreografie a comporre la pace in corpi che agiscono sul palco della violenza?

Parafrasando la danzatrice: bisognerebbe illuminare con tutto il corpo la ricchezza della nostra differenza.

 

STEFANIA CHIUSOLO

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La Redazione 22 Marzo 2023 0
BeneventoBlogCronacheCulturaDocumentiInchieste

Una nuova realtà imprenditoriale: la OFFTEC

“Nessuno è profeta in patria”, figuriamoci se poi si tratta della nostra terra, il Sannio. Ma qualche eccezione, la storia ci insegna, c’è stata.

E qui entra in gioco una delle realtà, ormai consolidate, che nello spazio di pochi anni si è affermata prima in ambito nazionale e poi in quello internazionale. Parliamo, ovviamente, della OFFTEC e del suo presidente, l’architetto Flavian Basile, che nello spazio di 7 anni (è stata creata nel 2016) è diventata un laboratorio di progettazione impegnato sia nel campo dell’architettura che dell’ingegneria.

Benevento, Catania e Milano sono le sue tre sedi.

Per far vedere come si sta evolvendo la struttura OFFTEC è stata organizzata una mostra fotografica presso il museo Arcos di Benevento, intitolata “Quando spazio e luce iniziano a prendere forma” dove sono esposti parte dei progetti messi in piedi in questi anni dalla società. Un riconoscimento certamente all’azienda, ma anche al nostro territorio, il Sannio, che si crede, generalmente,  privo di qualsivoglia forma di sviluppo economico a certi livelli.

La mostra, come ha spiegato l’architetto Basile, è solo un punto di partenza e non di arrivo ed è servito, a margine della stessa, a spiegare due dei progetti che saranno portati avanti in questa città: la ristrutturazione del Grand Hotel Italiano al rione Ferrovia e la costruzione del campo da golf (e cosi adesso sappiamo anche chi ha avuto l’idea di rivitalizzare terreni abbandonati abbinandola ad un’idea imprenditoriale e turistica che potrebbe realmente portare benefici qui in città). Come giornale abbiamo sempre appoggiato iniziative imprenditoriali come queste -in special modo quando imprenditori vogliono investire, senza speculare sulla città (citare casi passati sarebbe qui inopportuno, ma sapete bene quali e quante battaglie su costruzioni abbandonate questo giornale sta portando avanti)-. E allora non ci resta che aspettare e vedere cosa succederà nel prossimo futuro, augurando alla Offtec e al suo presidente, Flavian Basile, di continuare sulla strada intrapresa finora.

 

Felice Presta

La mostra si protrarrà fino al 20 marzo.

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La Redazione 13 Marzo 2023 0
BeneventoCronacheCultura

La consapevolezza (nei ragazzi) di doversene andare

Nell’ambito dei “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (PCTO) in ambito scolastico, anche per questo anno il giornale e l’associazione SANNIO REPORT sono stati chiamati per parlare con gli alunni di giornalismo, di cultura e di educazione civica. In pratica i tre ambiti in cui ci muoviamo dall’ormai lontano 2015.

Abbiamo iniziato chiedendo ai ragazzi di scrivere (anche in forma anonima) quali fossero, ad esempio, i loro sogni.

I ragazzi, giovanissimi, hanno risposto come ci aspettavamo, ma una lettera in particolare ci ha colpito di più.

“Il mio sogno è quello di lasciare il mio paese dopo aver finito la scuola e l’università, perché qui non c’è opportunità di lavoro”.

Poche righe per testimoniare la consapevolezza nei ragazzi nel sapere, fin da ora, che dovranno per forza di cose lasciare il territorio natio. I dati statistici della perdita di popolazione a Benevento e nel Sannio, d’altra parte, sono lo specchio di un’emorragia  che non accenna a diminuire, bensì ad aumentare anno dopo anno.

Fa specie che ragazzi di 16 anni scrivano questo per i loro sogni, invece di scrivere magari cose più adatte alla loro età. Ma ciò significa che comunque i nostri giovani hanno ben chiara e presente (anche se a noi grandi non sembra) la realtà che li circonda. Una realtà che li fa riflettere e preoccuparsi di ciò che riserverà loro il futuro.

Stiamo assistendo ad un nuovo fenomeno di “emigrazione” verso altri territori. Principalmente verso il nord d’Italia , ma anche verso paesi esteri: luoghi capaci di dare sbocchi lavorativi a dei giovani il cui territorio d’origine è destinato alla desertificazione e all’impoverimento.

Cose già viste, cose già dette? Sicuramente, ma non c’è nessuno che ha voglia di cambiare questo stato di cose?

L’Italia è un paese che sta invecchiando rapidamente e solo l’immigrazione ci salva dal disastro di dati ancora più fallimentari.

Ma nessuno pensa a come arginare questo fenomeno? Evidentemente no. E allora in questa ottica colpisce ancora di più la maturità di questo ragazzo/a di 16 anni nel sapere già quale sarà il proprio futuro: andarsene dalla terra natia in cerca di fortuna….

Felice Presta

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La Redazione 13 Febbraio 2023 0
Senza categoria

Piove, è inverno: sindaco ma le scuole comunali in che condizioni sono?

Il tempo, cosi inClemente, ci sta dando un po’ di tregua e a prescindere da piene, esondazioni eccetera, ampiamente trattati sulla pagina Facebook di Sannio Report, -perché Noi a differenza di altri giornalai cittadini il fango lo abbiamo spalato 8 anni fa- adesso mi devo soffermare di quello che poi è accaduto nei giorni successivi e che NESSUNO ha trattato come si deve.

Cosa è successo? Beh quando pioveva abbiamo avuto notizia che il nostro sindaco girava in auto con il comandante della Polizia municipale per vedere come era la situazione in giro per la città, benissimo, per poi mandare gli stessi agenti e tecnici a verificare negli istituti scolastici comunali com’era la situazione il giorno successivo. I giornali locali ne hanno dato ampiamente notizia.

Caro sindaco, come volete che sia la situazione all’interno di plessi scolastici vetusti e carenti di qualsiasi manutenzione?  Una pittata e una distesa di guaina sui tetti non è manutenzione.

Edifici che  risultano, dalle carte comunali che noi acquisimmo anni fa, inagibili (da abbattere e ricostruire), parzialmente agibili o da dichiarare agibili dopo lavori interni strutturali che non sono mai stati fatti? Ufficio lavori pubblici giusto per chiarire dove andammo a prendere le carte.

E’ sempre colpa di quelli che hanno preceduto?

Sicuramente anche loro non è che abbiano fatto molto per gli istituti scolastici, ma voi, nonostante carte alla mano, in 7 anni di amministrazione cosa avete fatto?

Ogni volta che c’è allerta arancione si chiudono le scuole, poi si procede alle verifiche del caso -dove più volte sono state messe in evidenza infiltrazioni di acqua in questi edifici- ma in sostanza, e nonostante le dichiarazioni roboanti di un assessore ai lavori pubblici che ripete sempre lo stesso mantra -“stiamo facendo, stiamo lavorando, sono iniziati i lavori, abbiamo partecipato al bando ecc.”- l’unica scuola che è stata aperta rimane la Bosco Lucarelli a piazzale Catullo dove, e lasciatemelo dire, il merito è tutto nostro come più volte raccontato.

E nel frattempo cosa si fa? Assolutamente nulla. Adesso partono i lavori, si, ma quando, dove e, soprattutto, quando finiranno?

La Federico Torre è da abbattere e ricostruire. Benissimo, e come mai i ragazzi continuano ad entrare in una scuola presumibilmente inagibile (lo avete detto voi che era da abbattere)?

E ad ogni goccia un po’ più grossa di pioggia assistiamo a questo spettacolo, indegno per una società civile, dove parte della città si preoccupa di finire sott’acqua, e un’altra parte si preoccupa delle scuole dove vanno i loro figli.

E le scuole si chiudono, e i lavori non partono per le nuove, però assistiamo ai tanti tagli del nastro che il nostro sindaco, immancabilmente ci regala quasi ogni mese. E fa niente se ogni tanto alza la voce perché quando taglia il nastro è dispiaciuto che ci sia poca gente. Potrebbe sempre fare manifesti di richiamo al grido “abbattiamoci le mani” (canzone semisconosciuta di Jerry Scotti).

Ci siamo stancati di scrivere sempre le stesse cose e di fare denunce. La lettera del Prefetto di 3 anni fa la custodiamo nel cassetto con la risposta alla nostra nota sulle scuole che gli mandammo.

Benevento ha scelto, alle elezioni dello scorso anno, di riconfermare l’amministrazione precedente che continua come sempre. Le giostrine inclusive sono importanti ma forse la sicurezza dei plessi scolastici comunali (e provinciali) un pochino in più!

Voi che ne dite?

Felice Presta

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La Redazione 26 Gennaio 2023 0
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BN SCL FLM FSTVL ArTelesia – Franco Francesca nuovo direttore creativo -nuova veste e premi

La macchina del Benevento social film festival è partita. Si scaldano i motori per organizzare la quindicesima edizione del festival, che si arricchisce della presenza di un direttore creativo, che affiancherà il comitato  artistico dell’Associazione Culturale Libero Teatro, capitanati da Mariella di Libero ,Antonio di Fede ,Rosa Barone  e il fondatore  del festival Francesco Tomasiello

L’eco designer  Franco Francesca sarà il “deus ex machina” della prossima edizione, lavorando come creative director in supporto agli organizzatori dell’evento, occupandosi in prima persona degli aspetti relativi alla parte visiva, partendo dalla veste grafica fino alla scelta del premio 2023, per rinnovare e rappresentare appieno l’identità del tema scelto dalla rassegna cinematografica, che quest’anno è Il Viaggio. Il direttore creativo, inoltre, si occuperà di sviluppare eventi collaterali, strategie di marketing e campagne di rebranding, esplorando in tutte le sue forme il concetto di identità e diversità, inteso come integrazione ed inclusione, concetti chiave anche dell’Agenda 2030: best practice per lo sviluppo sostenibile.

Il concorso internazionale del Cinema Sociale per registi emergenti e professionisti, Scuole e Università, evento promosso dall’Associazione Culturale Libero Teatro di Benevento, ha diffuso il nuovo bando, che si articola in quattro sezioni: Filmmaker e DivAbili; School and University, Anteprime nazionali ed internazionali e Film di animazione. Questi i temi:

  • IO MI APPARTENGO – rispetto della propria individualità, saper essere oltre ogni apparire, coltivare la propria libertà contro ogni dipendenza.
  • INTEGRAZIONE – rispetto dell’identità etnica e culturale contro ogni forma di discriminazione: beyond cultural stereotypes.
  • SUPERFICI PROFONDE – scoperta e valorizzazione del patrimonio storico-artistico dei territori.
  • CORTOMETRAGGIO – Storie di agricoltura sostenibile.
  • Nella sezione DivAbili, concorso esclusivo del Social Film Festival ArTelesia, è possibile iscrivere lavori realizzati da registi diversamente abili o che abbiano coinvolto attori diversamente abili che non devono necessariamente incentrarsi sul tema della disabilità.

Temi della sezione School and University sono:

  • L’OROLOGIO SULLE 20.30: buone pratiche per lo sviluppo sostenibile.
  • INTEGRAZIONE: rispetto dell’identità etnica e culturale contro ogni forma di discriminazione: beyond cultural stereotypes.
  • CINELIBRIAMOCI: lavori ispirati ad opere della narrativa italiana e mondiale.

Particolare attenzione sarà riservata alle opere realizzate dagli studenti con dispositivi mobili – smartphone, tablet, action camera, droni. Per tutte le categorie è comunque previsto il tema libero. Il termine ultimo per l’invio dei lavori è il 28 febbraio 2023.

Tra le novità di questa edizione, nasce il Premio Green Carpet, che renderà il festival sociale di Benevento il primo al mondo a poter vantare questa nuova sezione! In questa rinnovata prospettiva, la quindicesima edizione del Social Film Festival ripercorrerà la storia dei successi raggiunti finora, puntando su una maggiore visibilità nazionale ed internazionale, grazie agli ospiti, alle tematiche e alle nuove strategie di comunicazione, puntando i riflettori su una rassegna cinematografica made in Sannio che appare una perla rara, da tutelare e sostenere con tutti i mezzi possibili. #BSFF2023

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La Redazione 5 Gennaio 2023 0
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Buon 2023. Potevamo parlare…

Domani è la Befana e come dice il detto “tutte le feste porta via”. E dopo la Befana, per l’appunto, inizia per noi il nostro “nuovo anno”.

Volutamente non abbiamo parlato in questi ultimi mesi sottolineando tutte le “caxxate” politiche che sono state dette, promesse e non fatte.

E soprattutto non abbiamo parlato più di un povero vecchietto ormai in preda al delirio di onnipotenza acclarato.

Non abbiamo parlato delle luminarie cittadine (quali?), né di concorsi alla Provincia, né di malumori politici all’interno della maggioranza di palazzo Mosti.

Potevamo parlare del Malies e del suo alberello messo a mo di candela funeraria davanti ad esso, a testimoniare il fallimento politico di un progetto nato male, condotto peggio e finito tra le mani della magistratura.

Visto che il progetto era nostro potevamo parlare del campanile di Santa Sofia con la nuova illuminazione -può piacere o meno non è quello importante- e del fatto che con i due lumini (una è fulminata) davanti il sagrato al cospetto la chiesa di Santa Sofia (patrimonio Unesco) pare un tomba abbandonata, ma non l’abbiamo fatto.

Potevamo sottolineare , e l’abbiamo fatto, del sovrintendente, del suo arresto, delle modalità di esso e di quanto questa città sia “gestita” da determinati personaggi in modo “allegro”.

E potevamo dimenticarci dello scandalo della Provincia, delle assunzioni, dei lavori pubblici abbandonati, delle scuole?

Ma no…sono anni che scriviamo di questo e di tanti altri problemi che la politica non riesce a risolvere -incapacità, inefficienza, inefficacia? O semplicemente mancanza di volontà? Boh- ne abbiamo parlato e scritto talmente tanto che ormai ci scoccia anche ritornare sull’argomento.

Ci torniamo solo quando qualche dichiarazione-caxxata viene spiattellata ai compiacenti giornalisti di questa città che esaltano oltremodo, e lontano da qualsiasi etica giornalistica, le doti amministrative dei nostri politici-politicanti.

Potevamo parlare molto, e l’abbiamo sempre fatto, ma onestamente ci siamo scocciati a farlo e adesso portiamo avanti solo i nostri progetti basati su idee di città fuori dagli schemi classici senza l’aiuto della politica e senza badare ad essa.

E chissà perché i nostri progetti magicamente si realizzano, senza soldi, senza aiuto politico ma solo con la buona volontà di poche persone che hanno sempre creduto alle idee di un pazzo.

Come dite? Com’è possibile? Beh per l’appunto, come Marzullo, fatevi una domanda e datevi una risposta.

Io intanto sfoglio un libro sulla nostra città…

Tanti auguri di buon 2023 a tutti!

Felice Presta

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La Redazione 5 Gennaio 2023 0
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Social Film Festival Artelesia. Al lavoro per la prossima edizione

Francesco Tomasiello, l’ideatore  del Social Film Festival Artelesia, è da poco  rientrato dalla  Spagna (ospite al Film Festiva di Siviglia) ed è già a lavoro per organizzare la prossima edizione dell’evento sociale a Benevento.

Il festival, giunto al quindicesimo anno, si arricchisce della presenza di un  direttore creativo, che affiancherà il direttore artistico Antonio Di Fede e gli altri membri dell’Associazione Culturale Libero Teatro capeggiati dalla presidente Maria De Libero, organizzatori dell’evento.

Nei prossimi mesi verrà reso noto il nome del creative director che si occuperà, nel festival, degli aspetti relativi alla parte visiva, per rinnovare e rappresentare appieno l’identità del tema scelto dalla rassegna cinematografica del 2023. Il direttore creativo, inoltre, si occuperà di sviluppare eventi collaterali, strategie di marketing e campagne di rebranding, esplorando in tutte le sue forme il concetto di identità e diversità, inteso come integrazione ed inclusione, concetti chiave anche dell’Agenda 2030: best practice per lo sviluppo sostenibile.

Una piccola anticipazione sul Social Film Festival Artelesia n°15? Nasce il Premio Green Carpet, novità unica nel suo genere che renderà il festival sociale di Benevento il primo al mondo a poter vantare questa nuova sezione!

In questa rinnovata prospettiva, la quindicesima edizione del Social Film Festival ripercorrerà la storia dei successi raggiunti finora, puntando su una maggiore visibilità nazionale ed internazionale, grazie agli ospiti, alle tematiche e alle nuove strategia di comunicazione, puntando i riflettori su una rassegna cinematografica made in Sannio come una perla rara, da tutelare e sostenere con tutti i mezzi possibili.

Per conoscere le anticipazioni su tutte le novità e il programma della quindicesima edizione restate connessi sui profili social ufficiali del Social Film Festival Artelesia  #SFFA

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La Redazione 21 Dicembre 2022 0
BeneventoBlogCronacheDocumentiInchieste

Acqua potabile o non potabile? I responsabili? Siamo noi!

L’emergenza idrica dovuta alla contaminazione dei pozzi di campo Mazzone è solo l’ultimo dei problemi che le amministrazioni che si sono succedute in questi anni non hanno voluto affrontare.

Quali ad esempio? Beh ce ne sono una marea, dalle scuole (inagibili, parzialmente agibili o da fare interventi di mantenimento), agli edifici pubblici (incompleti o da completare) come il mamozzio, il Malies, la ex scuola Moscati, solo per citarne qualcuna.

Ma prima le fontane, e poi l’”illuminiamoci” di immenso di questa e delle passate amministrazioni ha portato a un disastro di città.

Una città dove si sopravvive, non si vive, sempre con uno stato di emergenza perenne -non mi dimentico ad esempio dell’alluvione del 2015 e di ciò CHE NON SI E’ FATTO PER EVITARE CHE ACCADA DI NUOVO– sempre in attesa di qualcosa o di qualcuno che abbia un lampo di genio (o un po’ di coscienza) e si decida ad affrontare i problemi di una città alcuni dei quali facilmente risolvibili se solo si avesse un po’ di buona volontà.

Ma si lascia scorrere tutto, il tempo, le emergenze, i problemi, tanto domani è un altro giorno e viviamo questo per poi indignarci se accade che si tocchi un bene primario come l’ACQUA. E fa niente se adesso è uscita la nuova ordinanza sindacale che dice che l’acqua è potabile.

Il NON FARE NULLA è imperante in questa città, è la colpa non è solo dei politici o della politica, ma principalmente nostra: di tutti i cittadini che non fanno nulla per cambiare le cose e far fare a questa città un’inversione di marcia.

Siamo destinati a scomparire come Provincia, e ci indigneremo quando Benevento diventerà Provincia di Avellino, ma lo faremo un giorno, forse due…tanto che ci importa. Domani è un altro giorno.

Felice Presta

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La Redazione 20 Novembre 2022 0
BeneventoCronacheCulturaDocumenti

Sannio Report diventa casa editrice (e pubblica il suo primo libro)

Il giornale Sannio Report prima e l’associazione omonima poi ha fatto e farà tante cose in questa città e in questa Provincia.
La sede, in via Francesco Iandoli qui a Benevento, è una fucina di idee dal ritmo quasi…giornaliero.
Dopo il recupero dei Santi Quaranta, la ripulitura del campanile di Santa Sofia, dell’anfiteatro romano e la creazione della biblioteca intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (in mezzo a tante altre cose) adesso è la volta di proporre -in ambito culturale- una cosa che…sentiamo più nostra: diventare casa editrice.

E non perché c’è il nome sotto ma semplicemente perché crediamo in ciò che facciamo, sempre, e questo era uno dei tasselli mancanti che doveva essere inserito nel quadro dei nostri progetti.
Il destino, o il caso, ha voluto che la prima pubblicazione sia stata fatta per il prof. Biagio Osvaldo Severini, figura conosciutissima in città, uno dei nostri più accesi sostenitori e dei nostri donatori.
Con il suo Diario di un soldato beneventano MICHELE RICCHETTI (operante in Africa orientale negli anni 1935,1936,1937) ha voluto dare fiducia alle nostre idee, alle nostre speranze e al nostro modo di proporci.

Dal canto nostro siamo orgogliosi della sua fiducia che ci da la spinta a continuare nei nostri progetti, costruiti e coltivati ogni giorno.
Per il resto non c’è molto da dire se non che le copie del libro sono disponibili presso la sede di Sannio Report e su Amazon.

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La Redazione 18 Ottobre 2022 0
Benevento

Rosanna Banfi – glamour zen by Franco Francesca

Rosanna Banfi ha scelto ancora una volta la maestria di Franco Francesca, eco designer sannita di spicco, per rilanciare la sua immagine in tv dopo un breve periodo di assenza dallo spettacolo.

 L’atelier Franco Francesca del Triggio, quartiere storico di Benevento, ha vestito l’attrice durante i lanci promozionali della diciassettesima edizione di Ballando con le stelle, che la vede in gara in coppia con il maestro di ballo Simone Casula. 

Dopo essersi conosciuti nell’estate del 2021, in occasione del matrimonio della figlia di Rosanna, quando Franco e Imma Francesca hanno vestito tutta la famiglia Banfi, Rosanna si è affidato totalmente a Franco per farsi creare diversi  abiti su misura.

Sono una decina gli outfit appositamente pensati e confezionati per Rosanna Banfi targati Franco Francesca durante i servizi fotografici per le copertine delle riviste e gli spot promozionali social e tv

Rosanna ha indossato già 3 dei look creati per lei da Franco Francesca, commissionatigli immediatamente dopo aver avuto la conferma ufficiale di essere tra i protagonisti del programma di Milly Carlucci.

Il primo è il tubino e kimono in tessuto vintage indossato recentemente a Domenica In, mentre per la comunicazione sulla stampa nazionale la Banfi ha sfoggiato proprio il vestito verde indossato dalla top modella Denise Sene sul red carpet del film festival di Venezia.

Ancora una volta Franco ha voluto dimostrare quanto la sua moda sia inclusiva e democratica :lo stesso abito, senza alcuna modifica, poteva essere indossato anche dall’attrice con classe ed eleganza, in ottima forma e prontissima a ballare in tv da sabato prossimo.

 Dopo le prime uscite con i nuovi look Rosanna ha comunicato la sua soddisfazione e i numerosi complimenti ricevuti dai suoi colleghi e amici ringraziando Franco per avere avuto l’intuizione nel creare per lei un immagine glamour zen che le danno maggiore forza nell’affrontare questa nuova sfida a partire dal prossimo 8 ottobre 

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La Redazione 7 Ottobre 2022 0
BeneventoCronacheInchieste

L’Istat da dei numeri, i vostri, qui a Benevento, sono molto diversi

Secondo il sito dell’ISTAT a settembre questi sono i dati (parziali e indicativi, sennò non la finivamo più) della crescita dei prezzi al consumo.

Secondo le stime preliminari, nel mese di settembre 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e dell’8,9% su base annua (da +8,4% del mese precedente).

L’ulteriore accelerazione dell’inflazione su base tendenziale si deve soprattutto ai prezzi dei beni alimentari (la cui crescita passa da +10,1% di agosto a +11,5%) sia lavorati (da +10,4% a +11,7%) sia non lavorati (da +9,8% a +11,0%) e a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,6% a +5,7%). Contribuiscono, in misura minore, anche i prezzi dei beni non durevoli (da +3,8% a +4,7%) e dei beni semidurevoli (da+2,3% a +2,8%). Pur rallentando di poco, continuano a crescere in misura molto ampia, i prezzi dei beni energetici (da +44,9% di agosto a +44,5%) sia regolamentati (da +47,9% a + 47,7%) sia non regolamentati (da +41,6% a +41,2%); decelerano anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +8,4% a +7,2%).

L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +4,4% a +5,0% e quella al netto dei soli beni energetici da +5,0% a +5,5%.

L’ISTAT continua snocciolando cifre e numeri su tante altre cose…ma il punto principale è sempre quello: una crescita dei prezzi dei prodotti al consumo all’incirca del 10% su base annua.

Questo giornale ha fatto un rapido sondaggio sulla pagina Facebook (avete risposto in tanti, grazie) e si è fatta l’idea che: la crescita è di molto superiore al 10% raggiungendo, soprattutto nel carrello della spesa, dal 30 al 50% di aumento. Con picchi anche del 100%.

Certo l’indagine è limitata alla nostra città, e ricordiamo che i prezzi al sud sono inferiori di quelli al nord, ma ci indica un problema che si prospetta alquanto grave: a fronte di stipendi e, in genere, di capacità di acquisto rimasto pressoché stabile negli ultimi anni questo aumento generalizzato causerà molti problemi all’interno delle famiglie.

Se a ciò si aggiunge l’aumento del prezzo della luce almeno del 50%, e quello del gas si prospetta un inverno turbolento.

I vari bonus poco potranno fare per tamponare una situazione che potrebbe finire fuori controllo a breve, sono palliativi che serviranno nel breve periodo. Ma nel lungo cosa succederà?

Ma vediamo un po’ l’elenco dei prezzi e dei beni che sono aumentati di più nell’ultimo periodo.

Carta igienica 4 rotoli è passata da € 1,89 a € 2,89

Olio per friggere € 1,39 a € 2,99

farina da € 0,49 a € 1 al chilo

Maionese (Eurospin) da € 1,09 a € €1,89

Olio extravergine da € 3 a € 5

la pasta (mezzo chilo) da € 0,50 a € 1,00

pane da € 2 al kg a € 2,50 (anche 3 a secondo dei casi)

Frutta e verdura di stagione 30/40% in più

Rotoloni da € 2,39 a € 4

Pancetta da € 18,90 al chilo a 28,90

Pesce: vongole veraci da € 9,90 al chilo a € 18,90 al chilo

Biscotti per colazione secchi, da da € 1,89 a € 2,29

Uova confezione da 6 da € 2 a € 3,50

Mozzarella da 500 grammi da € 4,50 a € 6,90

Acqua in confezione da 6 da € 1,59 a € 2,59

E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Ma facendo un rapido giro nei principali supermercati della città qualcosina, sulle offerte, si può risparmiare. Ma se si nota bene anche le offerte sono diminuite, in generale, sia per quantità che per qualità,  cosi come, tanto per fare un esempio, il cesto della LIDL con i prezzi scontati del 30% è quasi sempre…vuoto.

Allora l’economia reale è, come sempre, distante da quella preventivata o augurata dall’Istat e dai dati del ministero con l’aumento dei costi energetici di produzione la situazione non potrà che peggiorare.

E noi che fine faremo? Speriamo di cavarcela, come sempre!

Felice Presta

 

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La Redazione 4 Ottobre 2022 0
BeneventoCronacheCulturaDocumentiInchieste

Il mercato del lavoro ed i giovani beneventani.

Oggi questo giornale ha intervistato una ragazza di 24 anni in merito al “lavoro” offerto dai nostri concittadini ai tanti giovani che si affacciano sul mondo del lavoro… e per questo e su questo nasce tale articolo. Da premettere che la persona intervistata è una brillante studentessa universitaria.

La chiameremo Carolina, da un anno vive da sola, per cui da sola provvede a pagare il fitto e le bollette e la sua prima esperienza lavorativa risale a 6 anni fa.

Partiamo da questo.

Prove lavorative: la sua prima è stato lavorare in un pub: durata 1 giorno, 12 ore di lavoro 20 euro (voucher lavorativi).

La seconda, da barista, ben 14 ore sempre 20 euro, che tra l’altro il titolare non voleva dare poiché si trattava (secondo lui) di una giornata di prova.

E fino a qui…erano solo prove.

La sua successiva esperienza dura un po’di più, presso un locale, 2 mesi. Sempre come barista. Tutti i giorni, dalle 17 alle 3, per una paga 400 euro mensili, tutto senza regolare contratto.

Secondo voi, con questi ritmi, così sottopagata, quanto poteva durare?

Altro locale, altra “esperienza”: 5 ore al giorno i primi tempi e poi 10, 11 ore per una paga di 500 euro con un contratto lavorativo di 2 ore al giorno.

Ci poniamo la stessa domanda: quanto poteva durare?

Altro locale, altro giro, altra corsa…3 giorni in un locale, per 8 ore al giorno, per 40 euro totali (per TUTTI i 3 giorni fatti a nero, ovviamente…).

Nel frattempo, Carolina non si ferma sostenendo tanti altri colloqui di lavoro.

I più salienti? Andiamo a raccontarli.

Uno dei tanti: in un negozio alimentare, 2 volte a settimana per 500 euro. Come dite? Finalmente una proposta equa? Purtroppo no…

Un giorno di prova non retribuito, il giorno seguente 6 ore, un altro 11 ore, il giorno successivo altre 6 ore.

Fin qui tutto chiaro? Ok, adesso viene il bello.

Il titolare nel pomeriggio manda un messaggio (dopo essere passato nel locale per visionare il tutto) che recita: “la mattina devi venire più sistemata perché l’immagine conta tanto”. Il titolare si riferiva al fatto che quella mattina non si fosse truccata.” Io non voglio perdere tempo, perché questo mestiere lo devi imparare e quindi la tua presenza è superflua. Passa la settimana prossima che ti pago, 50 euro in tutto.”

Da premettere che la ragazza è bella truccata e non, quindi si presenterebbe lo stesso bene.

Ennesimo colloquio presso un pub: dalle ore 18 ad orario da destinarsi, con un contratto da 300 euro al mese, però in busta paga ne avrebbe ritrovati 650, lavorando tutti i giorni, senza giorno di riposo.

Altro colloquio in un negozio di alimentari. Dalle 17 ad orario da destinarsi con un contratto di 300 euro mensili, però se un giorno si fosse assentata, avrebbe dovuto restituire i soldi di quella o quelle giornate lavorative non fatte.

Carolina trova un nuovo lavoro, come commessa: la paga era buona, 700 euro al mese. Lavora per metà mese, anche 8 ore al giorno, per poi essere mandata via con una banale scusa e “liquidata con soli 200 euro.

E cosi via, l’elenco è lunghissimo, con proposte da 30 euro per 12, 15 ore, solo per il fine settimana. O tutta la settimana a 30 euro al giorno, senza giorno di riposo, tutto a nero o quasi.

Le esperienze, tutte documentate, rappresentano uno spaccato di quello che succede a Benevento, ma presumibilmente in tutta Italia.

Leggere e scrivere di queste cose è per me imbarazzante, perché testimonia una realtà lavorativa peggiore di quel che pensassi. Nel 2009, oramai tredici anni fa, usci il film “Generazione 1000 euro”. Di qui la foto di copertina) Dopo qualche anno, con la crisi, avremmo potuto girare il sequel con il titolo “Generazione 500 euro”. Adesso siamo arrivati al 3’ episodio di questa triste saga, da intitolare “Generazione: quant ce vonn dà!”

Questa è la situazione, questa è la realtà ed è forse questo, visto che si andrà a votare prossimamente, che i nostri politici devono risolvere al più presto, prima che i nostri giovani si perdano per strada e ci sia un’implosione in tempi brevi.

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La Redazione 2 Agosto 2022 0
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Le scuole cittadine e l’amministrazione mastelliana

L’anno scolastico si è chiuso, nel bene e nel male e i ragazzi sono riusciti a tornare in presenza dopo la DAD dell’anno precedente. Ma con la chiusura,  parlandone naturalmente durante l’estate, ritorna e ritornerà la problematica “scuole” cittadine. La consigliera comunale Floriana fioretti ha già iniziato a sollecitare l’Amministrazione Comunale in carica sulle problematiche scuole cittadine ma, visto che a palazzo Mosti ormai vige il “io sono io e voi non siete un…”, dubitiamo fortemente che venga presa in considerazione tale denuncia.

Nonostante le “roboanti” dichiarazioni del Sindaco, negli ultimi 6 anni poco o nulla si è fatto e adesso si aggiungerà anche il problema della scuola della Pietà che chiuderà per la ristrutturazione. Ma non è che le altre siano messe meglio. La scuola al rione Pacevecchia è chiusa, le scuole “Torre” e “Nicola Sala” si trovano  (anch’esse!) in una situazione logistica decadente.

L’elenco è lungo e già con l’Amministrazione Pepe il problema degli immobili scolastici comunali fu affrontato con una ricognizione che metteva in evidenza quasi per tutte due problematiche importanti: l’inagibilità o la parziale agibilità di molte delle scuole (soprattutto per i carichi verticali delle stesse non rispondenti, in quanto trattasi di vecchie costruzioni, ai canoni di sicurezza che devono essere rispettati per legge oggi) e, soprattutto, gli impianti antincendio che dovranno essere adeguati inderogabilmente entro il 31 dicembre 2024.

Un regalo del Governo, questo spostamento della data ultima, che è venuto incontro alle tante richieste degli amministratori -spostamento dovuto alla mancanza di fondi e, soprattutto, colpevolmente, di progetti per le singole scuole-.

E Benevento?

La nostra città, come sempre, naviga nelle ultime posizioni.

Per svariati motivi, più volte sottolineati da questo giornale. Prima di tutto per la mancata partecipazione ai bandi per la ristrutturazione degli edifici scolastici, poi per la negligenza nella presentazione tardiva di alcuni progetti (rifiutati perché incompleti), e poi soprattutto per la mancanza di un piano d’insieme che regolasse tutti gli edifici scolastici a secondo della loro importanza, della loro capienza e delle loro problematiche. Insomma un discorso iniziato, tardi, 3 anni fa, purtroppo affrontato in maniera dilettantistica da questa e dalla precedente Amministrazione, con tutti i colpevoli ritardi del caso. Solo per un mero evento fortuito -una nostra denuncia dell’epoca- è stata completata la nuova scuola  “Bosco Lucarelli” a piazzale Catullo e i ragazzi della vecchia scuola sono potuti andare nel nuovo istituto, dopo l’incendio provocato da un corto circuito che ,il 25 Settembre 2018,aveva colpito la vecchia scuola media.

E a settembre cosa succederà? Non cambierà nulla, solo qualche altra scuola verrà chiusa tra le proteste dei genitori, dei disagi per gli alunni, e il malumore dei professori e del personale scolastico.

Ma tanto che ce ne importa? Abbiamo Mastella che risolve tutto…

n.d.r. In tarda mattinata non si è fatta attendere la risposta piccata, al comunicato della consigliera Fioretti, dell’assessore ai lavori pubblici Mario Pasquariello che parla dei finanziamenti alle scuole, dei soldi fatti arrivare dall’amministrazione. Si va bene tutto assessore, ma noi stiamo dicendo che siete in colpevole ritardo (sono 6 anni che amministrate), che i lavori ancora non sono partiti (sempre per il vostro colpevole ritardo), e che, in attesa di nuove chiusure scolastiche, ancora non sapete dove verranno mandati gli alunni delle scuole che chiudere.

Foto archivio S.R.

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La Redazione 15 Luglio 2022 0
BeneventoBlogCronacheCultura

Ho fatto un sogno…

Ho fatto un sogno…

-qualsiasi riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale ed è frutto solo dell’esperienza onirica raccontata nell’articolo-.

 

Per Freud il sogno è una manifestazione di contenuti psichici rimossi che, attraverso l’interpretazione, possono essere riportati alla luce.

Non sono un grande cultore del filosofo austriaco ma per raccontarvi il sogno di stanotte da qualcosa (o da qualcuno) dovevo pur partire no?

Il sogno inizia in una città in fermento, viva, con negozi e attività traboccanti di gente che va e che viene. La prima cosa che mi sorprende è lo schema: tutto è perfettamente sincronizzato, e non parlo solo delle attività commerciali, ma del traffico, degli uffici pubblici, delle banche, delle poste eccetera.

Nessuna coda, nessuna fila, nessun clacson a suonare ai semafori. Automobili parcheggiate in maniera perfetta, con tanto di spazi liberi lasciati ai portatori di handicap e alle donne incinta. Le (poche) forze di Polizia che sono in giro sorvegliano in maniera discreta tutto l’andirivieni. Qualcuno aiuta una signora anziana a portare la busta della spesa, qualcun altro sorveglia i bambini giocare in un parco giochi affinché non si facciano male.

A questo proposito il parco giochi assomiglia stranamente allo spazio di Benevento dove, nella realtà, c’è il “mamozzio”. E’ bello vedere uno spazio grande in mezzo ai palazzi pieno di verde e di giostrine.

Desiderio inconscio del suo abbattimento? Direi più desiderio conscio di una sua totale eliminazione.

C’è poi un’altra cosa strana che mi ha colpito: sono tutti sorridenti e felici. Si salutano tra loro, alcuni si fermano a conversare raccontando della famiglia, dei figli. Tutti sembrano conoscersi e tutti sembrano volersi bene. Ci sono baci e abbracci dappertutto, e strette di mano, e i bar sono pieni di gente che si offre a vicenda un caffè o un aperitivo.

SEMBRANO?

Se dovessi dare un’idea di ciò che ho visto direi che questa parte della città è uguale a quella che potrebbe essere stata immaginata da un architetto “illuminato”.

D’altra parte verde curato, alberi potati e in perfetto ordine, quasi simmetrici tra loro. Cestini dei rifiuti da ogni parte necessaria, strade pulite e ben curate, palazzi e facciate degli stessi in perfetto ordine e, sia pure costruiti con stili diversi, danno un’idea architettonica di un insieme bello da vedere. Mi ricorda un po’ le foto delle costruzioni nei Paesi Bassi, in Olanda soprattutto. Case colorate con i toni pastello, ampi balconi con fiori e piante. Un quadro generale che, nel sogno, mi ha rilassato in maniera oltremodo strana.

Ma anche quando sogno viene sempre a galla l’inconscio del giornalista curioso.

Ma qui siamo al centro di questa città, mica sarà tutta cosi?

E allora riprendo a camminare, già lo stavo facendo in verità e devo dire che anche in sogno camminare stanca (per non parlare di quelle rare volte che ho preso la febbre: corro, corro sempre e quando mi sveglio sono più stanco di quando sono andato a letto. Un po’ come se avessi fatto una mini maratona), e inizio ad addentrarmi da altre parti. Ma il panorama non cambia.  Tutto è un continuum con l’altra parte. Puliti e ordinato in ogni dove. In questa parte del sogno la strada principale assomiglia tanto a via Napoli, al rione Libertà, ma è molto diverso come dicevo. Ma potrebbe essere Santa Maria degli Angeli o Capodimonte, o la strada che porta ad una delle tante contrade cittadine.

E mi chiedo: “Bellissimo, com’è diverso dalla realtà”.

Girando vedo orde (lo so il termine e brutto e in genere si riferisce a dei barbari ma rende bene l’idea del loro numero) di turisti vicino ai monumenti più significativi. Ordinati e silenziosi tutti ad ascoltare le guide turistiche che descrivono l’opera (in particolare) e la città (in generale). E sento i commenti in tutte le lingue conosciute -dagli altri, naturalmente, non da me. Io conosco un po’ di italiano e qualche parola in dialetto. L’inglese? Per me è ostico come se fosse aramaico antico-: “Beautiful city”, belle ville” e così via.

Ho scoperto una cosa importante, nei sogni non si deve necessariamente conoscere la lingua, ci sono i doppiatori come nei film. Un bel risparmio di tempo no?

Musicisti di strada allietano con la loro musica la passeggiata -blues, jazz, pop, non ha importanza-, altri, i giocolieri, attraggono i bambini e le loro mamme nei pressi. Dove sono? In una zona PEDONALE. Dove gira qualche agente in divisa in bicicletta, molti passeggiano a piedi, e qualche furgone elettrico approfitta per consegnare la merce ai negozi. Andando a passo d’uomo e stando ben attenti, certamente. D’altra parte in una città pulita ed ordinata come questa poteva essere diversamente?

Un po’ più lontano mi attira un capannello di gente. Mi avvicino e guardo con stupore: c’è un uomo con la fascia tricolore (il sindaco?) che stringe le mani a delle persone fermandosi a parlare con ognuno di loro e raccogliendo suggerimenti sull’amministrazione cittadina. Al suo fianco c’è una specie di segretario che registra su carta nome e cognome del cittadino, la proposta fatta e, ad esempio, la strada. Poi vedo il segretario distribuire i foglietti a diverse persone. Mi chiedo chi siano e mentre faccio questo mi accorgo che sono gli assessori della giunta comunale.

Quello ai lavori pubblici è quello più “gettonato”: c’è chi propone per l’illuminazione pubblica lampade a basso consumo e a risparmio energetico. Chi propone negli uffici comunali un riscaldamento diverso dal solito -ad esempio quello a battiscopa-. Come non sapete come funziona? Andate su internet e andate a vedere.

La cosa dura un bel po’, d’altra parte è dura amministrare. C’è chi la vuole cotta, chi la vuole cruda e chi metà e metà. Ma la gente tutto sommato espone tranquillamente i problemi, che vengono annotati, verranno esaminati e, nel caso, prontamente risolti.

Uguale alla realtà, non è vero?

Beh in questa città esemplare non posso non controllare altre cose, sono un giornalista anche in sogno mica pizza e fichi!

Entro i diversi uffici pubblici e la prima cosa che noto è che tutti stanno ai loro posti e tutti lavorano (si vede che è un sogno). Le scrivanie sono scevre da qualsiasi cartellina e foglio, dimostrazione pratica che lavoro arretrato non c’è. E poi sono tutti cortesi ed educati. Fanno sedere l’utente, ascoltano attentamente ciò che ha da dirgli e si mettono subito a disposizione e a lavoro. Et voilà. Un pass in 5 minuti, un certificato in 3, un permesso di costruzione (dopo aver attentamente esaminato la pratica) in 15, una licenza commerciale in 30 e così via. Mi fa meraviglia una cosa: l’informatizzazione di questi uffici. I computer sono tutti collegati e le risposte da altri uffici, ad esempio nulla osta, arrivano dopo pochi minuti. Forse per questo, nel sogno, sulle scrivanie non ci sono cartelline, carte o cartacce.

A questo punto compiaciuto -per ciò che ho visto- e deluso -per lo scoop che contavo di fare se ci fosse stato qualcosa che non andava- mi dirigo verso un ospedale.

Li sicuramente troverò qualcosa, siamo o non siamo in tempo di Covid e di pandemia?

Già agli sportelli vedo file ordinate, impiegati sorridenti che lavorano alacremente. C’è gente ma non caos, ci sono medici e infermieri e personale sanitario che assistono, accolgono e visitano tutti cercando di alleviare i tempi di attesa, o magari confortare pazienti. Che bello. D’altra parte la parola “ospedale” deriva dal latino “hospitale”, cioè stanze o luogo destinati agli ospiti. Differente da azienda ospedaliera -azienda: organizzazione che svolge una qualsiasi attività economica. Cioè un luogo dove SI DEVONO FARE SOLDI!

Poi? Poi mi sono svegliato ed eccomi qui al computer presso la sede di Sannio Report a scrivere.

Ah no, dimenticavo, chiudo con parte di una canzone che molti di voi conoscerete:

“I sogni son desideri
di felicità
nel sogno non hai pensieri
esprimi con sincerità
si vede chissà se un giorno
la sorte non ti arriderà
tu sogna e spera fermamente
dimentica il presente
e il sogno realtà diverrà”.

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La Redazione 11 Luglio 2022 0
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La degenerazione della politica: tra partitini ad personam, politicanti e cabarettisti

Ormai è un dato certo: la politica (e i politici in generale) sono quanto di più distante possa esserci dall’elettorato, da coloro che li dovrebbero votare.

Se questa, qualche decennio fa era una sensazione, frutto di discorsi populistici e qualunquistici, adesso è realtà.

L’ultimo strappo, quello consumato dal Ministro Di Maio che, lasciando il Movimento 5 stelle, ha creato un nuovo Movimento “Insieme per il futuro”.

La cocente sconfitta elettorale del M5S ha accelerato ciò che era inevitabile: la scissione tra Conte e Di Maio.

Non voglio qui ripercorrere tutte le tappe dei 5 Stelle ma dal 2007 (Vaffa Day) ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti e l’exploit del 2018 (32% dei voti) che ha visto il loro trionfo e li ha portati contestualmente a governare prima con la Lega e poi con il PD, ha fatto il resto.

Come già per Alleanza Nazionale, la vittoria è stato il primo passo verso la fine. Un partito o un Movimento, nato per stare all’opposizione, quando va al Governo (le sedie sono belle e comode e soprattutto remunerative) si sfascia. Perché non ha una storia, non ha un retaggio culturale, non ha una base e , soprattutto, non ha un’altezza.

Ma non è che dalle altre “parti” le cose vadano meglio. La Lega di Salvini, Fratelli d’Italia con la Meloni, Forza Italia con Berlusconi sono ormai diventati partiti “ad personam” (tralascio qui l’ultima creatura mastelliana “Noi di Centro” , considerato che il suo fondatore è abituato a questo e conta di arrivare sempre al 4% in Senato, per poter tenere in piedi i governi oppure  affossarli), ed è per questo che vince l’unico partito rimasto in piedi che si può definire tale: il Partito Democratico.

Se c’è, nei partiti, qualcosa di democratico residuale è solo in questo. Il segretario viene eletto, può essere sfiduciato, c’è una democrazia partecipativa. Dalle altre parti non c’è? Lasciamo stare…

E si fanno referendum spendendo soldi già sapendo in partenza che il quorum non si otterrà mai, si fanno elezioni provinciali senza la partecipazione democratica (ma non si dovevano abolire?), si parla tanto di tutto ed il contrario di tutto, senza mai tenere conto di ciò che vorrebbero e che meriterebbero i cittadini.

La politica? Una cosa sporca, fatta per interessi personali, dove non cambia mai nulla (il Movimento 5 Stelle in verità ci aveva illuso del contrario, anche se poi si è uniformato al cosiddetto sistema), quindi per cosa e per chi andiamo a votare?

Questi, da anni, i discorsi degli elettori. Eppure la parola Polis -in greco significa appunto “città” – racchiude in sé un grande significato che molti non conoscono…

La degenerazione politica sta raggiungendo l’apice e se ciò si vede molto a livello nazionale, si nota questo ancora di più a livello locale, dove “Io sono io e voi non siete un cazzo” con l’adeguata dialettica del caso, sparsa dal politicante-statista sui giornali e sulle reti nazionali fa vergognare molti che in quel territorio ci vivono.

Non c’è più la scuola politica, non ci sono più i politici intellettualmente elevati, ci sono solo personalismi che non giovano al rapporto cittadino-politica.

E fa niente se c’è il Covid (i politici hanno dimostrato la loro incapacità anche in questa emergenza), se c’è la guerra in Ucraina, se la benzina sta raggiungendo cifre da capogiro -fra un po’ tutti a piedi-, se le bollette stanno avendo aumenti a tre cifre, se l’inflazione galoppa, se il potere d’acquisto cala.

Tempo fa, durante la prima fase del Covid, scrissi un articolo molto duro sulle chiusure imposte -che infatti non sono serviti a un cacchio- cioè la deriva economica dell’Italia e dell’Europa…una deriva iniziata con l’entrata nell’euro e che probabilmente finirà con il dissolversi dell’Europa (non prima di aver arginato Putin, però).

Fa niente, l’importante è che il politicante di turno dimostri di esserci sempre e comunque e di poter fare sempre l’ago della bilancia in parlamento con il 4, il 3, lo 0,1 %.

Ma una bella soglia di sbarramento al 10% no? Almeno una trentina ce li leviamo dalle…

Felice Presta

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La Redazione 30 Giugno 2022 0
BeneventoCronache

Raddoppio Telesina? Nonostante le dichiarazioni di qualcuno…i lavori non partiranno

Ritornare a parlare di argomenti già trattati, sia pure importanti come il raddoppio della Telesina, per “colpa” di qualche politico che, in piena euforia elettorale, annuncia la firma e la partenza dei lavori…beh è una cosa che mi scoccia e tanto.

Nell’altro articolo già avevo illustrato la situazione: c’è un ricorso al Consiglio di Stato è c’è da parte di questa di inibire la formalizzazione del contratto di adeguamento a 4 corsie della statale 372 “considerata la delicatezza della fattispecie in esame e la tipologia delle questioni sottoposte” (decreto n. 2851/2022 emesso il 21 giugno scorso).

Ora da che mondo è mondo se c’è un giudizio che non faccia ottemperare alla stipula di un contratto…per forza di cose si deve attendere il giudizio.

E allora come si fa a dichiarare che Anas è pronta a firmare il contratto e a far partire i lavori?

Sono anni che si sente parlare di questo famigerato raddoppio -quante campagne elettorali sono state fatte su di lei- ma non sono mai partiti i lavori. E anche il casino amministrativo, già descritto nell’altro articolo, non fa presagire nulla di buono riguardo i tempi.

Ma tant’è, basta sparare qualche dichiarazione sulla stampa locale -che amplifica senza approfondire- che si scatena un’eccitazione da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Eppure avevamo messo in guardia sia sulla gara di appalto, che sulle altre problematiche. Ma se pensano che nessuno ci legga, sbagliano e di parecchio. In non essere unificati ai meri comunicati stampa ci porta già ad un livello diverso.

Le questioni importanti qui vengono analizzate e approfondite non per questioni politiche bensì per il pragmatismo che ci contraddistingue.

La soluzione va trovata nel più breve tempo possibile, e deve essere legittima, celere e priva di qualsiasi ombra. Ma i nostri parlamentari con certe dichiarazioni non si rendono certamente conto delle conseguenze. E se, con queste, cercano in qualsivoglia modo di aggirare gli “ostacoli” burocratici…beh hanno sbagliato i conti.

Già assistiamo, da anni, ai miseri risultati che i nostri parlamentari hanno avuto e hanno per i nostri territori se poi continuano in dichiarazioni che fanno presagire una soluzione in tempi brevi -non sapendo, o volutamente ignorando- le problematiche esistenti non si può dar loro che un solo titolo: DILETTANTI DELLA POLITICA(NAZIONALE) PER IL TERRITORIO SANNIO.

E questo vale per tutti non per uno solo.

Ed è l’ente ANAS che come committente deve risolvere il problema (oltre che i giudici).

Ed è per questo che ripeterò sempre all’infinito…noi (speriamo) che ce la caviamo!

Felice Presta

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La Redazione 24 Giugno 2022 0
BeneventoCronacheCultura

Lettera aperta ai giovani di Benevento e del Sannio

Mentre attacco l’ultimo “bollino” -fatto stampare dalla tipografia con la dicitura biblioteca Falcone-Borsellino-, per la cronaca n. 1240, ripenso a come è nata questa idea a come si è sviluppata e a che cosa è arrivata.

Beh devo dire, prima di tutto, che gli aiuti ricevuti sono stati moltissimi e non solo da amici ma anche da persone che non conoscevo e che si sono fidate di me accogliendomi nelle loro case, nei loro studi, nei loro garage… poi, analizzando il tutto, mi è venuta l’idea di rivolgermi ai giovani di questa città.

Tutti si vogliono rivolgere ai giovani ma nessuno lo fa realmente con il loro modo di pensare, sicuramente diverso dal nostro. Cercherò qui di farlo senza pontificare o fare il “maestro”, perché da persona ignorante quale sono, l’unico pregio che ho è rivolgermi SEMPRE a chi ne sa più di me.

Sannio Report -associazione e giornale, sono due cose distinte con un’unica identità- è nato per dar voce ai giovani, per dar voce ai cittadini e per raccogliere idee e metterle in pratica.

Molto semplice scrivere questa cosa, ma nessuno può sapere il lavoro che c’è dietro: il sudore, la fatica, i soldi spesi, i contrasti con burocrazia, politica. Ma noi non ci siamo mai fermati e siamo sempre andati avanti. Potrei qui elencare le cose fatte, ma preferisco vedere le cose che ci sono da fare in base, non solo alle idee nate qui dentro, ma anche quelle “accolte” parlando con le persone.

E qui mi rivolgo ai giovani di questa città: tempo fa ho pubblicato dei post in cui invitavo a partecipare ad un laboratorio di idee per cercare di far crescere e di risolvere qualche problema della città e della Provincia. Qualche idea è arrivata, non come avremmo voluto, ma fa niente.

Dobbiamo guardare al futuro e non al passato -senza dimenticarci delle emergenze che abbiamo affrontato e che stiamo affrontando, pandemia e guerra in Ucraina in primis- quindi riprendo il discorso interrotto mesi fa.

Ragazzi: la nostra città e la nostra provincia si sta spopolando, molti di voi terminati gli studi, se non prima, se ne andranno via. Rimarrà qui la generazione dei pensionati, degli statali ancora in attività, dei commercianti, quelli della generazione X (di cui faccio parte io), delle badanti eccetera.

Senza di voi questa città non ha un futuro, se mai lo avesse avuto, ma adesso più che mai la situazione sta degenerando e perdendo 1000, 2000 cittadini l’anno ben presto perderemo anche lo status di Provincia (altro che Molisannio).

Servono idee nuove che vi entusiasmino e che vi facciano lottare ed è per questo che mi rivolgo a voi, per far si che veniate in sede ad esporle, dopodiché vedremo come realizzarle.

La realizzazione di idee è una delle poche che so fare oltre a saper ascoltare.

Che le vogliate poi realizzare in proprio o sotto l’egida di Sannio Report non ha importanza.

Abbiamo una sede dove riunirci, 3 computer di cui due fissi per scrivere articoli o altro (anche la macchina del caffè e un frigobar). Fra un po’ metteremo la fibra in modo da essere collegati velocemente con tutto e tutti. Abbiamo una pec, un’email dedicata, insomma tutto ciò che può servire velocemente alla realizzazione delle vostre idee.

A 53 anni, andando a mille all’ora, il mio l’ho fatto e lo sto facendo, e probabilmente continuerò a farlo…ma adesso tocca anche a voi (e si Anna, mi rivolgo anche a te).

Felice Presta

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La Redazione 11 Aprile 2022 0
BeneventoCultura

Biblioteca “G.Falcone-P. Borsellino”: l’elenco dei libri attualmente catalogati

1 concorso fotografico nazionale Sebastiano Maturi. Amorosi. Don Bosco. Telese Terme (Bn): Don Bosco, 1990.

2 luglio 1990 Il Papa a Benevento. La Scarana. Morcone (Bn): La Scarana, 1990.

A journey through Sannio. La Scarana. Benevento: La Scarana, 2002.

A. Sirago, Vito. Storia di Benevento. Lume. Benevento: Lume, 2007.

AA.VV. Antologia di racconti. Montedit. Verdellino (BG): Montedit, 2018.

———. Apice Il castello, i feudi, le chiese. ABE edizioni. ABE edizioni, s.d.

———. Come parlano i beneventani 2 edizione. Aesse. Benevento: Aesse stampa, 2010.

———. Concorso nazionale di poesia Traiano. San Giorgio del Sannio (Bn), 1980.

———. Gli sbandati di Apice. A.B.E. Cava dei Tirreni (Sa): A.B.E., 2007.

———. In co’ del ponte presso Benevento. Edimedia. Benevento: Edimedia, 2014.

———. L’addetto stampa. La Provincia sannita. Benevento: La Provincia sannita, 1998.

———. Mangia polenta licco. Ideas. Morcone (Bn): Ideas, 2011.

———. Oschi loschi: storie per attaccar bottone. Promos. Ariano Irpino (Av): Promos, 2013.

———. Poeti e pittori contemporanei. San Pio X. Santa Maria a Vico (CE): San Pio X, 1972.

Abbuonandi, Alberto. Le streghe di Benevento e il simbolo dell’albero. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 2000.

———. Lo sport immagini e parole. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 1997.

———. ’Ncopp’e pprete ’e Beneviento. Todariana. Varese: Todariana, 1979.

———. Poesie. Gabrieli. Roma: Gabrieli, 1975.

Agenda 2022. Realtà Sannita. Benevento: Realtà Sannita, 2021.

agenda Auxiliatrix, s.d.

Agenda Realtà Sannita 2010, s.d.

Agenda Realtà Sannita 2020. Realtà Sannita. Benevento: Realtà Sannita, 2019.

Agenda TV7 2021, s.d.

Agnisola, Giorgio. Alessandro Verdi. Art event’s. Foglianise (Bn): Art event’s, 2000.

«Alé Benevento anno 2 n.2», 2007. 723.

Alla luce del tempo. Palazzo Paolo V. Damiani. Bologna: Damiani, 2006.

Allegri, Renzo. A tu per tu con padre Pio. Arnaldo Mondadori editore. Cles (Tn): Arnaldo Mondadori editore, 1996.

———. Padre Pio l’uomo della speranza. Arnoldo Mondadori editore. Cles (Tn): Arnoldo Mondadori editore, 1984.

Almanacco del Sannio 1997. Kat edizioni. Benevento: KAT EDIZIONI, 1997.

Almanacco Sannio 2010. Kat. Benevento: KAT EDIZIONI, 2010.

Aloj/Bove. Il paesaggio del tratturo beneventano. RCEMUltimedia. RCEMUltimedia, 2011.

amici del lupo. Ecomatese, s.d.

amm. comunale Dugenta. Dugenta ha cinquant’anni. Benevento, 2006.

amministrazione comunale di Cerreto. Cerreto Sannita intitola una strada a : Davide Iacobelli. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 2013.

Amministrazione Provinciale. Memorie ed immagini. Mostra antologica della raccolta Mario penna nel Museo del Sannio. Museo del Sannio. Benevento: Museo del Sannio, 1982.

———. Regolamento del centro provinciale di igiene e profilassi mentale. Benevento, 1972.

———. Sannio in touring. Tutto il Sannio comune per comune. Duna editrice. Duna editrice, 2003.

Amore/Simone. Frasso telesino. Gedi. Frasso Telesino (Bn): Gedi, 2017.

AMTS. Il trasporto urbano a Benevento. Auxiliatrix. Benevento: Auxiliatrix, 2007.

Angelone, Angelo. Inno alla vita. Benevento, 1989.

———. Schegge Poesie della vita. Auxiliatrix. Benevento: Auxiliatrix, 2009.

Annuario 2015 arcidiocesi di Benevento. San Giorgio del Sannio (Bn), 2015.

Antologia degli artisti. Edizioni movimento Salvemini. Edizioni movimento Salvemini, 2021.

antone, Gaetano. De brevitate artis. La Scarana. Benevento: La Scarana, 1998.

Antonellis, Giacomo de. La scrittura beneventana. Azzella Editore. Bollate (Mi): Azzella Editore, 1973.

Antonellis, Gianandrea de. Libro del gigante Morante e del re Carlo Magno con tutti i paladini. Benevento, 2006.

———. Una tazza di libri, uno scaffale di té. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 2005.

———. Viaggio verso il crepuscolo. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 2004.

Appella, Giuseppe. Carlo Levi e Lucania ’61. De Luca edizioni d’arte. De Luca edizioni d’arte, 1989.

Aquila, Gianni dell’. A Benevento fiorisce l’ossimoro. Realtà Sannita. Benevento: Realtà Sannita, 2008.

Aquila, Giovanni Battista Maria dell’. Diomede Mitico fondatore della città di Benevento. Benevento, 2007.

———. La battaglia di Benevento. Iuorio. Benevento: Iuorio, 2016.

Aragosa, Ottavia/Giuseppe. Il Volturno via del Mediterraneo. Il Chiostro. Benevento: Il Chiostro, 2009.

Aragosa/Punzo. In vino nell’antichità. Benevento, 2008.

Archeoclub Sant’Agata dei Goti. Etre et paraitre Cathie Brousse 2010. Benevento, 2010.

———. statuto organico dello spedale di san Giovanni di Dio. Benevento, 1994.

———. Tra le antiche mura. Russo. Benevento: Russo, 1994.

Arfè, Pina. Esteticoesistenziale. De Martini/Ricolo. Benevento: De Martini/Ricolo, 1979.

ASL Benevento 1 Carta dei servizi. La Scarana. Morcone (Bn): La Scarana, 2001.

Asl Benevento I Carta dei servizi. La Scarana. Morcone (Bn): La Scarana, 2002.

ASL Bn1. Carta dei servizi sanitari. ASL Bn1. Afragola (Na): ASL Bn1, 1996.

Ass. Centro Studi C. Nobile. «…oltre» opere dedicate a Carlotta Nobile. Benevento, 2016.

Associazione Imago. Saluti ritrovati. Cartoline dal 1860 ad oggi. Benevento, 1986.

Atti della società storica del Sannio, 1927.

Aulita, Antonio. Panorami d’Italia, s.d.

Aversano, Mario. Dante precursore dell’Unità d’Italia. Auxiliatrix. Benevento: Auxiliatrix, 2010.

Aversano, Rino. Sentimenti nascosti. Severino Vetere editore. Beltiglio di Ceppaloni (Bn): Severino Vetere editore, 2010.

AVO. Un cuore per chi soffre, 2002.

———. Una scelta di vita. 30 anni di AVO Benevento, s.d.

azione Cattolica. regolamento diocesano di attuazione dello statuto, 1979.

Baia Il ninfeo imperiale sommerso di punta Epitaffio. Banca Sannitica. Napoli: Banca Sannitica, 1983.

Balzerano, Antonio. Pensieri e sentimenti. Abete. Abete, s.d.

banca Sannitica. Almanacco 1991. Ercolano (Na), s.d.

banca sannitica. Almanacco del centenario, 1989.

Banca sannitica. La Campania alle soglie degli anni 90. Napoli, s.d.

———. Strutture e prospettive di sviluppo dell’economia del Sannio, 1974.

Barbato Giuseppe. Dedicato a… Fruska. Stia (Arezzo): Fruska, 1995.

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La Redazione 30 Marzo 2022 0
BeneventoCronache

La Telesina: un dramma senza fine. E sull’appalto in corso spuntano ombre da più parti

Con la morte del secondo conducente nell’ultimo ed ennesimo incidente stradale lungo la TELESINA si aggrava sempre di più il conto dei morti su questa ormai famigerata strada. A nulla sono valse le proteste, gli appelli e le denunce: su questa strada si continua a morire.

E si continua a parlare da 30 40 anni del famoso raddoppio della Telese-Caianello – ci saranno stati una ventina di Governi 40 sottosegretari, una ventina di ministri, una cinquantina di deputati e senatori sanniti- ma nulla è stato fatto.

E quando, finalmente, dopo lo stanziamento dei fondi e la partenza della gara di appalto ecco che spuntano fuori carte e documenti che attestano che la gara non sia stata condotta nel migliore dei modi. E si entra, adesso, nel vortice dei tribunali, amministrativi per il momento.

Ciò sicuramente ritarderà l’inizio dei lavori con la conseguente ulteriore penalizzazione degli utenti che di questa strada non ne possono fare a meno.

Ma andiamo con ordine.

Carte alla mano possiamo mettere in chiaro alcuni punti dell’intricata vicenda -e quando diciamo carte alla mano parliamo di documenti ufficiali, come sentenze eccetera- e non di dicerie:

1)L’appalto indetto dall’Anas è stato oggetto di ricorso dapprima al TAR e poi al Consiglio di Stato. Il giudice amministrativo con sentenza emessa il 7 gennaio 2022 ha ufficialmente conclamato la falsità dei documenti presentati in sede dall’aggiudicatario, il raggruppamento capeggiato dalla DE SANCTIS S.p.a., che si è avvalsa di un’autorizzazione presentata presso il comune di Melizzano. Va detto che il giudice amministrativo nella sentenza in oggetto ha ricordato che la produzione di documentazione falsa in procedura di gara esclude chi abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false e fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione dell’appalto.

2)Come se non bastasse questo emergono ulteriori dubbi in merito alla genuinità della documentazione a cui ha fatto ricorso il primo graduato relativa ad autorizzazioni utilizzate presso alcuni enti comunali e regionali (autorizzazioni necessarie per alcune attività dell’appalto).

In particolare si tratterebbe di una cava ubicata tra il Sannio e il Molise che non rientrerebbe tra i siti estrattivi in possesso delle caratteristiche dichiarate in sede di gara ai fini del punteggio. Cava che in passato è stata raggiunta anche da un provvedimento di sequestro. Mentre per quanto riguarda strettamente il Sannio la problematica riguarderebbe un atto autorizzativo allegato alla gara riferito ad un terreno agricolo e vincolato non idoneo rispetto alle attività che l’impresa voleva realizzare.

3) tutta questa intricata vicenda è al vaglio sia dalla Procura di Benevento che a quella di Roma.

Quanto ci vorrà affinché la vicenda sia chiusa e inizino a partire i lavori? Ecco questo è il bello…non si sa. E quindi avendo fatto un punto preciso della situazione attuale non resta, per chi percorre quella strada, di prestare come sempre attenzione e per il resto affidarsi (chi è credente) al Padreterno.

 

 

Felice Presta

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La Redazione 28 Marzo 2022 0
BeneventoCronacheCultura

Mastella si ricandida sindaco, ma evita ed eviterà qualsiasi confronto politico

La campagna elettorale è iniziata da tempo, Mastella docet e le “telefonate” domenicali, ed è già tempo di analizzare il primo e insindacabile fatto: sarà una campagna elettorale senza esclusione di colpi (bassi), e, per l’emergenza covid, anche diversa da tutte le altre affrontate finora.

Detto questo la ricandidatura di Mastella era già stata dichiarata tempo fa (ma non aveva detto il contrario?), ma con una novità … nessun dibattito politico con gli altri candidati a sindaco, nessuna interlocuzione, niente di niente. Questo perché il nostro sindaco ha detto che: “deve pensare alla città e ai suoi cittadini”.

Toh…una novità. Lui che pensa a Benevento e ai beneventani. Ma negli ultimi 4 anni e mezzo cosa ha fatto?

Ve lo riepilogo: ha pensato alla ricandidatura della moglie e alla sua campagna elettorale, alla campagna elettorale per le Regionali, alla campagna per l’elezione indiretta del presidente della Provincia.

Per il resto? Si è limitato a tagliare nastri di progetti ideati e messi in opera dalla precedente amministrazione, si è limitato a fare dichiarazioni azzardate (malies, mamozio piazza duomo giusto per ricordarne due), ha cambiato innumerevoli assessori, ha definito alcuni suoi consiglieri “succhia ruote e arraffa arraffa”, è andato in televisione a parlare di covid, del Napoli e del Benevento. Ha fatto nomine che ha poi dovuto ritirare, ha inasprito, la scorsa estate, le regole emanate per l’emergenza dallo stato e, soprattutto, telefonando ogni domenica a tutti i numeri fissi cittadini.

Un servizio che dovrebbe essere stato istituito proprio per le emergenze e per mettere al corrente la cittadinanza di ordinanze importanti e non, come dicevo all’inizio, per fare propaganda gratis a spese della città.

Comunque ritornando al punto cruciale: il sindaco rifiuta e rifiuterà qualsiasi confronto politico con gli altri candidati.

Il confronto in politica è sempre costruttivo non crede sindaco?

E per quale motivo lei non vuole confrontarsi? Perché teme che i suoi avversari portino il famoso documento programmatico di inizio consiliatura dove tante erano le cose che avrebbe dovuto fare e non ha poi fatto?

Oppure perché visto che, e lei tiene sempre a citarli, è stato ministro della Giustizia, sottosegretario, deputato da 40anni, sindaco di Ceppaloni, capo politico dell’Udeur ecc. ecc., lei si crede superiore a tutti e a tutto?

Per opinione personale opto per la seconda ipotesi…ma potrei sempre ricredermi.

Lei, per gli altri candidati sindaci, è l’avversario da abbattere dopo il nulla amministrativo degli ultimi 5 anni.

Un consiglio però, visto che a differenza di altri, tanto antipatico non mi è (lo so, non è reciproco ma fa niente):  senza un confronto, su temi importanti cittadini, i suoi avversari avranno vita facile. Invece il bello della campagna elettorale è sentire le dichiarazioni di tutti e metterli a confronto di ciò che farà, una volta vinto, il futuro sindaco.

E io, come tanti altri, siamo ansiosi di sentire ciò che vorrebbe fare in caso di vittoria nei prossimi 5 anni, magari facendoci scordare il nulla fatto dei precedenti.

SIC TRANSIT GLORIA MUNDI (cosi passa la gloria del mondo) e ci aggiungerei:  vanità delle vanità, tutto è vanità.

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La Redazione 6 Giugno 2021 0
BeneventoCronache

Mastella: ma ogni tanto vi ricordate di essere stato eletto sindaco di Benevento?

Ormai è accertato: abbiamo un sindaco che se ne frega di tutto e di tutti.

L’ultima dimostrazione è venuta dalla registrazione, per la RAI, del concerto di Pasqua nell’auditorium Sant’Agostino alla sua presenza, alla presenza di molte persone (molte delle quali facente parte della sua claque personale), di qualche assessore, alla presenza delle forze dell’ordine, compreso il comandante della Polizia Municipale che PER LEGGE, avrebbe dovuto vietare l’ingresso alle persone senza apposita certificazione, senza i necessari tamponi, senza insomma tutte quelle cose disposte dal DPCM attualmente in vigore per le zone rosse.

Questo il primo punto, quello più importante inerente alla pandemia.

Ma c’è dell’altro: in questo momento era necessario fare uno spettacolo investendo € 15.000 dai fondi del Comune per fare una cosa del genere?

Quando ci sono attività che sono chiuse, altre che stanno fallendo, con la povertà che avanza a ritmi inimmaginabili

Sindaco un’ennesima dimostrazione del suo modo di amministrare, malissimo, una città, come detto all’inizio fregandosene di tutto e di tutti.

E lei vuole mettere su un’applicazione di intelligenza artificiale “Chiama Clemente”?

Si benissimo, ma per dire cosa? Che in questi 5 anni qualsiasi proposta che le è stata fatta per migliorare questa città è stata disattesa oppure semplicemente ignorata?

Ma a chi dovrebbe chiamare il cittadino? A lei?

Ma mi faccia il piacere… un politico che quando si sente attaccato insulta, travalicando molto spesso i limiti della sua carica istituzionale (come non ricordarsi di alcuni consiglieri definiti “succhia ruote” o “arraffa arraffa”, mette in campo i suoi trascorsi politici, ma non risponde mai nella sostanza a ciò che le si chiede?

Un dubbio mi attanaglia da sempre: ma non è che il suo essere in perenne campagna elettorale –politiche, regionali ecc.- le ha fatto dimenticare o semplicemente ignorare di essere stato eletto 5 anni fa SINDACO di BENEVENTO?

Felice Presta

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La Redazione 27 Marzo 2021 0
BeneventoCronache

Festa del papà: ai miei figli

Ai miei figli.

Sta finendo la festa del papà…una festa a cui tengo molto essendo papà.

Ma, c’è sempre un ma: per la prima volta non l’ho passata insieme a voi e ciò mi rende triste e con un senso di vuoto. Vi ho visto nascere, crescere, vi ho cullato, cambiato i pannolini, asciugato le lacrime quando piangevate, fatto dormire sul mio petto. Ho visto cartoni animati a valanga insieme a voi. Vi ho fatto il bagno e, qualche volta, anche dato qualche schiaffo (ma penso meritati).

Ho giocato con voi, vi ho vissuto intensamente ogni attimo della mia vita. Adesso state diventando grandi e ogni giorno vi amo sempre di più con i vostri pregi e i vostri difetti sempre pronto a correre in qualsiasi momento quando ce ne è bisogno, quando avete bisogno.

Mi mancate da morire…tutti e due. Con voi non mi sono mai vergognato di dimostrarvi in ogni secondo il mio affetto che voi avete sempre ricambiato.

Adesso io sono lontano, ma vicino, ma il non vedervi tutti i giorni comunque mi fanno sentire come se mi mancasse qualcosa, come se una parte della mia vita stia vivendo senza più un significato. So che in ogni momento posso vedervi, giocare con voi, anche abbracciarvi e baciarvi ma il vivervi giornalmente è un’altra cosa…lo so.

Sull’uomo si potranno dire tante cose ma mai sul padre, e questo lo difenderò sempre contro tutto e tutti. Posso aver sbagliato, e sicuramente l’ho fatto molte volte, ma sempre per il vostro bene…mai per il mio. E voglio che lo sappiate.

La pandemia ha acuito questo senso di lontananza.

Io non mi volto mai indietro, lo detesto con ogni mio essere.

Non posso vedere foto e filmati vecchi perché mi assale subito un senso di tristezza, ma non per le cose che ho perso, ma per quelle belle che ho vissuto. Eppure ricordando le cose belle uno dovrebbe essere contento, ma io preferisco viverle nella mia mente ridendo di come giocavamo, di come facevamo le cose insieme, che sia il barbecue o andare a pesca non ha importanza. Di come giocavamo a pallone o della prima volta che ho cercato di insegnarvi ad andare in bici, con uno ci sono riuscito con l’altro no…ma fa niente non è importante.

Una sola cosa è importante nella mia vita: voi e non smetterò mai di amarvi anni luce più della mia vita. Quindi vogliate perdonarvi se vi ho fatto soffrire, e amatemi per quel che sono, un uomo dai mille difetti.

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La Redazione 19 Marzo 2021 0
BeneventoCronache

Un anno di Covid…un anno chiusi in casa (con qualche breve parentesi)

Un anno è passato, il 9 marzo scorso per la precisione l’infausto compleanno, dal LOCKDOWN annunciato dal premier Conte in tv in cui si chiudeva tutta l’Italia e gli italiani nelle case.

Fare una sintesi in un articolo sembrerebbe banale e riduttivo se non fosse che….dopo un anno sostanzialmente non è cambiato nulla.

Siamo passati dal “andrà tutto bene” e “io resto a casa” ad “andrà tutto a puttane” e “io sto uscendo pazzo a stare a casa”.

Siamo passati, estate 2020, dal libera tutti, a rinchiudiamo tutti di nuovo (settembre 2020).

Al saltare la pasqua, 2020, per riaprire d’estate (cosa che effettivamente e colpevolmente con il senno di poi hanno fatto). Abbiamo saltato i festeggiamenti natalizi con i parenti e gli amici, per poter sperare di passare la Pasqua tutti assieme, mentre alla fine la Pasqua la faremo dove l’abbiamo fatta lo scorso anno: rinchiusi dentro casa.

Siamo passati dai concerti sui balconi, ai coprifuochi notturni –la parola coprifuoco a me personalmente non piace, rievoca ciò che la nostra generazione non ha mai vissuto, fortunatamente: LA GUERRA.

All’annuncio dei vaccini, al ritiro di alcune partite dello stesso…

Intanto 4 milioni di italiani sono stati vaccinati, quasi due milioni dovrebbero essere immuni, ma i contagi, in quella che tutti chiamano terza ondata, continuano a salire.

Non è un controsenso?

E non dimentico di chi sta pagando il prezzo più alto di questa situazione, senza dimenticare i 100.000 morti naturalmente, i giovani –che con  la DAD e lo stare a casa non stanno studiando come dovrebbero. Diciamocela tutta in sincerità: la DAD è solo un banale palliativo. E’ come curare una polmonite con l’aspirina- e i tanti commercianti che in quest’ultimo anno hanno subito  e dovuto subire le conseguenze economiche dovute alla pandemia.

Il futuro? Beh data la condizione in cui versiamo dopo un anno dal LOCKDOWN non posso essere tanto fiducioso, ma la speranza è l’ultima a morire.

Nel frattempo? Io (noi) speriamo che me la cavo!

Felice Presta

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La Redazione 14 Marzo 2021 0
BeneventoCronacheNovità

Inchieste giudiziarie: Del Basso De Caro e il colpevole silenzio del Movimento 5 Stelle

La notizia è passata sotto silenzio, anche troppo, specie se qualcuno avesse potuto e voluto analizzare l’accaduto dal punto di vista politico…che poi è quello che, principalmente, interessa noi, soprattutto per illustrare in modo chiaro ciò che sta succedendo nella nostra Provincia e ciò che succederà nell’immediato futuro in vista delle prossime amministrative.

Ma andiamo con ordine: nei giorni scorsi si è saputo che l’onorevole Umberto Del Basso De Caro era indagato per un procedimento giudiziario dal GUP di Napoli relativo alla strada di collegamento dell’interporto di Marcianise-Maddaloni, uscita autostradale del casello A30 (compresa la viabilità della SS 265) quando era sottosegretario del Ministero delle infrastrutture per TURBATA LIBERTA’ DEGLI INCANTI.

In  pratica, secondo l’accusa, l’onorevole avrebbe fatto pressioni sul presidente della commissione di gara presso la Stazione Unica Appaltante del Provveditorato per le opere pubbliche della Campania, per favorire un consorzio invece che altri. Effettivamente il consorzio in oggetto era risultato in un primo tempo in prima posizione per poi essere retrocesso, dopo un esposto, al decimo posto.

Per questo il GUP ha chiesto il rito abbreviato.

Fin qui la storia che seguirà il suo corso e accerterà se l’onorevole ha commesso illeciti oppure è estraneo alla vicenda.

Il punto è invece un altro: con l’alleanza PD/Movimento 5 Stelle è caduto anche l’ultimo baluardo dei principi che hanno mosso il movimento. Nessuno si ricorda più del grido di ONESTA’ ONESTA’ e soprattutto di quanti parlamentari, caduti sotto inchieste della magistratura, furono aditati dal Movimento stesso al pubblico ludibrio? Per non parlare di quanti nel Movimento stesso furono obbligati alle dimissioni solo per aver ricevuto un semplice avviso di garanzia (tralasciando Virginia Raggi).

Beh n questo contesto pare strano che i 4 esponenti sanniti, parlamentari, del Movimento 5 Stelle eletti pochi anni fa, sommati ai due consiglieri comunali, non abbiamo speso neanche una parola al riguardo, anzi… restando in un omertoso silenzio, evitando qualsiasi commento.

Eh già…il PD adesso è un alleato (anche per le comunali) e non si devono attaccare i suoi esponenti anche per fatti giudiziari…

Cosi va la politica specie quella derivata dal populismo penta stellato che adesso, dopo essersi seduto sugli scranni del Parlamento come primo partito, appare sempre di più (anzi levo appare che è meglio) un partito tradizionalista e conservatore.

Finiti nel cassetto gli attacchi dei parlamentari penta stellati al loro collega del PD, finite le critiche a una politica inamovibile cittadina, di cui l’onorevole DE Caro è un esponente di primo piano, finito tutto ciò che era tra i fondamenti di un Movimento che, come si sta notando, è ormai destinato ad implodere.

Resta l’amaro in bocca per chi, e siamo in tanti, aveva creduto ad un rinnovamento della politica per la nostra Provincia e per la nostra città. Ma i sanniti ormai ci sono abituati e con rassegnazione sperano sempre che le prossime elezioni portino a qualcosa di buono (e sono 150 anni che va cosi).

Nel frattempo godiamoci le esternazioni anche offensive del sindaco Mastella, il covid e la zona rossa, il silenzio dei nostri politici, il governatore De Luca, la situazione sanitaria campana, i vaccini, l’economia che sta morendo. Godiamoci tutto questo nella speranza che …io speriamo che me la cavo.

Felice Presta

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La Redazione 10 Marzo 2021 0
Novità

Biden risponde ai suoi detrattori nel discorso sullo stato dell’Unione

Giovedì 7 Marzo il Presidente Biden ha tenuto il discorso sullo stato dell’Unione.

 

È un appuntamento annuale con cui il presidente si rivolge al Congresso e ai cittadini esponendo i suoi risultati e i suoi obiettivi futuri.

Era un momento particolarmente atteso perché negli ultimi tempi il presidente Biden ha rifiutato di partecipare a delle grandi occasioni. Di solito durante il Super bowl — l’ evento sportivo più seguito del paese — ogni presidente che sia democratico o repubblicano tiene un piccolo discorso in modo tale da potersi rivolgere ad un grande pubblico. Per il secondo anno di fila Biden e il suo staff hanno deciso di non farsi vedere all’evento per paura di fare una figuraccia davanti a tutta la nazione.

Nel discorso di giovedì Biden si è dimostrato particolarmente aggressivo e convincente nelle sue parole nonostante l’età avanzata. Fox News — canale che lascia spazio ad idee di destra radicale  — ha pensato che Biden avesse assunto dei farmaci speciali. Significa che il discorso è andato più che bene.

Biden si è rivolto più volte a Trump, ma mai direttamente. 

Ha infatti utilizzato l’espressione <<il mio predecessore>>.

Ha parlato della NATO — l’alleanza militare dei paesi occidentali — riferendosi ad un discorso di Trump nel quale diceva: in caso di un attacco <<inviterei Putin a fare ciò che vuole>>.

Il Presidente ha quindi mandato un messaggio a Putin dicendo con rabbia <<non ci tireremo indietro, non mi inchinerò>>.

Nell’aula era presente anche il Primo Ministro della Svezia — appena entrata nella NATO — che ha ricevuto una standing ovation non da poco.

Sempre riferendosi a Trump, Biden ha parlato del diritto all’aborto — tuttavia senza mai nominare la parola “aborto” date le sue origini cattoliche — criticando la scelta della Corte Suprema di ribaltare la Roe v. Wade, la sentenza che garantiva il diritto all’aborto a livello federale.

Parlando direttamente ai giudici della Corte presenti in aula Biden ha detto: <<le donne non sono un potere elettorale e ve ne renderete conto>>.

Ha inoltre promesso che se avrà la maggioranza alle prossime elezioni per la Camera proverà a reinserire il Roe v. Wade.

Nel discorso Biden ha fatto riferimento anche ad un suo punto debole della campagna elettorale: l’immigrazione irregolare al confine con il Messico. La questione è diventata centrale nel dibattito americano e si era arrivati ad un accordo bipartisan al Senato. A detta del Presidente però il suo predecessore (Trump) avrebbe <<chiamato dei deputati per non far passare la legge>> per usare il tema dell’immigrazione politicamente. Questa è infatti la questione su cui Biden si gioca di più e Trump non ha intenzione fargliela risolvere prima delle elezioni. 

Il Presidente ha anche annunciato la costruzione di un molo temporaneo per far arrivare aiuti nella Striscia di Gaza. I carichi dovrebbero partire da Cipro, ma il piano sembra avere diversi problemi logistici. 

Matteo De Nigris

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La Redazione 13 Marzo 2024 0
Senza categoria

Sinistro, eccentrico, morboso: Mario Praz, collezionista di solitudini

 

Travelling. Empire forniture», così venivano indicati gli svaghi di Mario Praz nella sua voce sul Who’s Who. Viaggiare e collezionare antiquariato, con una predilezione per lo stile Impero. Poche parole per riassumere la passione di una vita; opere d’arte che restano, certo, ma anche un ecosistema di conoscenza, ricordi e incontri destinato a scomparire quando cala il sipario, si fa buio e gli occhi non vedono più.

Che quello di Praz per l’antiquariato fosse vero amore non ci sono dubbi, basti pensare alla cura con cui scrive della sua collezione ogni volta che ne ha l’occasione, indugiando sui dettagli con la tenerezza di un raffinato maniaco. Un legame a tal punto definitivo che nelle pagine di La Casa della Vita l’autobiografia si riflette nella descrizione degli oggetti d’arte dell’abitazione di via Giulia, in uno strano transfert fra individuo e arredamento. Insomma, a modo suo anche la casa di Praz è una casa stregata, e in molti sono certi che la sua ombra si muova ancora silenziosa tra le cere policrome e i candelabri d’argento.

Pensando a Praz viene naturale immaginarlo solitario e spaventato dagli altri, rifugiato in una torre d’avorio dove il tempo si ferma e non si sentono voci, in quella dead life che la ex-moglie gli rimproverava. Forse è tutto vero, ma non dobbiamo pensare che certe scelte siano piacevoli scorciatoie e non è detto che amare le cose sia più facile che amare le persone. Non è un caso che il Professore citasse spesso Jiří Orten e la sua visione dell’amore bugiardo degli oggetti:

«Sarai il più abbandonato, quando le cose ti abbandoneranno. Le cose non domandano: dicono di sì a tutto. Le cose sarebbero delle magnifiche amanti».

Certo è che simili passioni determinano incomprensioni, giudizi, persino accuse, e non tutti seppero apprezzare l’intensità di questo hobby. Alcuni lo trovarono eccentrico, altri patologico, altri ancora sinistro e morboso. Fu anche il parossismo di questa passione, che portava Praz ad avere «le stanze piene e le tasche vuote», a contribuire alla creazione di una inquietante aura attorno alla sua figura. In fondo, i veri solitari non piacciono mai e non si può accettare che un uomo viva intrattenendo simili relazioni con oggetti apparentemente inanimati.

Il caustico Cyrill Connelly – il “Palinuro” della Tomba Inquieta – in una recensione beffarda intitolata The House of Antilife dileggiò le lunge e precise descrizioni di Praz: il libro gli parve un «tour de force della scocciatura» e l’anglista, con il suo «occhio di formica», gli sembrava avere rispetto ai suoi oggetti «un eccessivo senso della loro importanza in relazione a sé stesso e viceversa». Ma Connelly era troppo distratto dalla mondanità per giungere al cuore delle cose e, del resto, non avrebbe neanche voluto pagare il prezzo di una passione che costa una vita. Il Professore, dal canto suo, non si scompose più di tanto: da perfetto innamorato incassò le critiche, sorrise bonariamente e si fece scivolare tutto addosso; certo di sapere dove stava la verità e risoluto nel non mettere in discussione neanche per un istante la qualità dei suoi venerati oggetti d’arte.

 

In effetti, il rapporto tra Praz e il proprio appartamento meticolosamente arredato non manca di un certo interesse psicoanalitico. Significativo in questo senso il passaggio della postfazione alla riedizione della Casa della Vita, in cui il Professore descrive il disamore nei confronti del suo appartamento dopo un tentativo di furto. Il ladro viene messo in fuga e non riesce a rubare niente, ma la casa è stata profanata, le virginali stanze offese:

«il tempio era stato violato, né esisteva rito prescritto per riconsacrarlo […] quell’effrazione aveva cambiato il carattere della casa, vi aveva fatto passare sopra il soffio della morte».

L’incantesimo si era rotto, non tanto rispetto alla collezione, con cui era stato stretto un patto incorruttibile, ma con le mura dell’abitazione. Praz, di lì a poco, avrebbe deciso il trasloco nel nuovo appartamento di Palazzo Primoli, dove il rituale sarebbe ricominciato da capo per non finire mai.

Una così alta considerazione di quella “Empire forniture” non poteva poi non espandersi anche agli antiquari, coloro che rendono possibile la sublimazione di un oggetto da avanzo dimenticato a opera d’arte.

Praz riconosce i meriti della categoria con arguzia e onestà, riportando aneddoti e testimonianze curiose (tra i molti nomi anche quello di Fabrizio Apolloni, il cui figlio Marco Fabio, a testimonianza di un profondo legame tra antiquariato e letteratura, è autore di un eccezionale romanzo, Il mistero della locanda Serny, finalista al Premio Strega del 2004). Secondo il Professore, il magico potere dei mercanti d’arte antica sarebbe quello di rendere nuovo il vecchio «illuminando il valore storico e artistico d’un opera antica sì da renderla appetibile ai moderni» e, al contrario, vecchio il nuovo «dissimulando tutto quello che il restauro e l’abile interferenza moderna hanno aggiunto». In un certo senso gli antiquari agiscono nel tempo, negando l’hic et nunc dell’economia moderna e, chissà, forse è proprio questo il motivo di una certa diffidenza che talvolta viene loro riservata.

Inoltre, Praz non teme di affermare che il mondo della cultura ha spesso guadagnato più dalle scoperte di avventurosi antiquari che non dalle elucubrazioni di sedentari studiosi. Il motivo è semplice, laddove un filologo può dilungarsi in pagine e pagine di congetture strampalate senza rischiare che la spesa della carta, l’antiquario paga di persona i suoi sbagli, rimettendoci il proprio patrimonio. Ho sorriso leggendo queste righe: mio padre è un antiquario e, da quando sono bambino, sento spesso ripetere queste parole secondo diverse varianti (tra cui la più gettonata, quella in cui si menziona il didietro e i rischi che esso corre).

 

Felice Presta

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La Redazione 21 Giugno 2023 0
Cultura

Il Surrealismo come movimento e avanguardia artistica

 

I fuochi della prima guerra mondiale si sono spenti da poco e a Parigi vivono la maggior parte degli animatori dell’arte più eversiva. Francis Picabia, Tristan Tzara, Max Ernst, Marcel Duchamp, Man Ray. È a loro che guardano con ammirazione due giovani intraprendenti, Andrè Breton e Philippe Soupault.

Siamo in pieno sviluppo di quella vita metropolitana, caratterizzata da una moltiplicazione esponenziale degli stimoli sull’individuo, ben compresa e descritta da Simmel, anni prima.

Il mondo dell’arte non resta immune. La fondazione della rivista Littérature, con il contributo decisivo di Louis Aragon, diventa il laboratorio attraverso il quale maturano le esperienze che porteranno al Surrealismo. All’inizio l’obiettivo è ancora quello di un’arte “totale” ovvero di un atteggiamento comune a tutte le discipline, dal teatro alla pittura, in grado di sminuire le singole tecniche e i relativi linguaggi in favore di una creatività legata all’umore dell’individuo che sceglie di volta in volta lo strumento per esprimersi.

La parola deriva da sur-réalisme, contenuta nel programma di sala di Parade, spettacolo di Guillaume Apollinaire, andato in scena il 17 maggio 1917 al teatro dello Chatelet.

Littérature promuove e organizza delle serate sull’esempio di quelle futuriste e del Cabaret Voltaire di Zurigo che diede origine al movimento Dada. Da lì parte tutto. Breton è prima una “dadaista” ma poi si distacca progressivamente perché vuole strutturare il movimento e i dadaisti rifiutano per principio questa idea. L’incontro e poi lo scontro con Tristan Tzara è decisivo per Breton. I due, insieme a Marinetti sono l’esempio tipico dell’uomo dell’avanguadia artistica: sradicato, deviante, ironicamente critico verso il sistema di valori della società.

Tra il 1920 e il 1925 succede di tutto: serate folli a teatro, conferenze, manifestazioni di disturbo all’interno di occasioni ufficiali (far notizia e balzare agli onori della cronaca è una strategia ispirata al Futurismo italiano), congressi programmatici, volantini e interventi provocatori su riviste, al limite dell’arroganza.

Di Dada, il nascente Surrealismo prosegue l’idea di voler essere un modo di vivere a agire radicale più che un orientamento creativo in senso stretto: di Dada rifiuta, come emerge dalla rottura tra Tzara e Breton che avviene nel 1922 tra roventi polemiche, il sottofondo troppo nichilista vagamente apocalittico.

Breton è affascinato dagli eventi della rivoluzione sovietica e scorge nell’arte un altro modo di intervenire nelle realtà sociale. Almeno fino al 1925, si trasforma nel custode di un rigorismo rivoluzionario e di una proclamata ortodossia surrealista che lo porterà a decretare molte scomuniche verso De Chirico, Artaud, Aragon e persino a Soupaul.

L’interesse preminente delle ricerche del primo Surrealismo è verso i linguaggi intesi come meccanismi in cui il senso, anziché essere manifestato, viene mistificato. Si riscoprono in questo ambito alcuni versi di Rimbaud, Ducasse e Roussel, in cui la chiarezza della forma lascia il posto al suono oscuro, al significato ambiguo delle parole, alla dissoluzione della struttura del discorso.

Si affrontano temi come la psicoanalisi, l’esoterismo, l’ipnosi, il sonno, tutte quelle situazioni di “sospensione della razionalità”, in cui si ritiene che l’individuo esprima la singolarità più autentica senza il filtro della consuetudine. Ancora, su un piano più legato alle modalità e alle tecniche del linguaggio, molta importanza si attribuisce al calembour, al paradosso verbale, allo humor.

Si legge nel “Manifesto del Surrealismo” redatto da Breton nel 1924: “Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere il funzionamento reale del pensiero, è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, di là da ogni preoccupazione estetica e morale”.

La scrittura automatica viene descritta da Breton e Eluard nel Dictionnaire abrégé du surréalisme: “Gioco consistente nel far comporre una frase, o un disegno, da più persone senza che alcuna di esse possa tener conto della e delle collaborazioni precedenti (…)”

L’esempio classico di questa tecnica è il “cadavre exquis”, che da nome al gioco: “il cadavere squisito berrà il vino nuovo”. Sullo stesso livello, l’esperienza di Robert Desnos che nel 1922 compone una serie di aforismi e giochi verbali in condizione di sonno ipnotico.

Per quanto concerne le ricerche sull’arte in generale, la svolta avviene alla fine del 1924, con l’uscita del primo numero della rivista La Révolution Surréaliste e la creazione del Bureau central de recherches surréalistes, aperto l’undici ottobre 1924 al 15 rue de Grenelle, una specie di centrale ideologica del movimento. La rivista ha tra i suoi esponenti principali: éluard, Crevel, Artaud, Duchamp, Masson, Ernst e altri.

L’anno successivo Breton captando le mutazioni avvenute nella ricerca artistica, inizia a teorizzare il surrealismo nella pittura che prende forma in una mostra alla galleria “Pierre” con de Chirico, Klee, Ernst, Arp, Mirò, Picasso, Man Ray e Pierre Roy. In verità Breton si limita a registrare una tendenza artistica che si stava delineando in modo autonomo e cerca anche in questo caso di definire una serie di regole da osservare, ma il confine è sottile, come si può imbrigliare in un’ideologia una pittura legata a stati alterati della psiche, alla sospensione del razionale?

Da un lato come guardiano della “fede”, Breton può bollare come segno di compromissione mondana le scenografie di Ernst e Mirò per i Balletti Russi. Per altro verso, comincia un attività di proselitismo attraverso nomi come Mesens, Magritte, Dalì, Tanguy, Delvaux, per ottenere quel successo e quella diffusione del Surrealismo, com’era stato per il Futurismo negli anni precedenti. Il duro lavoro porta a risultati concreti: nel 1926 apre i battenti la Galerie Surréaliste, luogo di mostre e manifestazioni. Da quel momento il Surrealismo è una realtà riconosciuta e rispettata nel mondo dell’arte.

Sogno, zone oscure della coscienza, automatismo psichico, allucinazione, confusione di segni e parole. Tutti elementi che ritroviamo nelle opere surrealiste, soprattutto nelle arti visive dove una serie di deroghe alle regole classiche, trovano una pedissequa applicazione con eccessi al limite del kitsch.

È il caso di due surrealisti della prima ora, Ernst e Mirò. Il primo, già esponente del Dada tedesco, è artefice di collages con inserti oggettuali ed esperto del frottage, una tecnica di disegno e pittura, basata sullo sfregamento e già nota nell’antica Grecia. L’immaginario di Ernst è composto da visionarietà nordica, incline al mostruoso e all’angoscioso con riferimenti all’esoterismo rinascimentale. Mirò invece, utilizza una tecnica stilistica omogenea e classica, ma dipinge forme e segni riferiti a elementi primitivi, ricchi di colori per ottenere un effetto cromatico potente.

Proviene dal Dada anche Man Ray, che in questi anni prosegue la pratica dei “raygraphs”, basati sulla tecnica della stampa a contatto, con l’uso sapiente del fotomontaggio e delle solarizzazioni. Il tutto per dimostrare come la tecnica fotografica non si riduca alla semplice riproduzione di immagini catturate nella realtà visibile, ma possiede infinite possibilità. In quel periodo, Ray è attivo in una serie di sperimentazioni cinematografiche: nel 1923 realizza Retour à la raison, l’anno successivo partecipa con Duchamp, Picabia e Satie a Entr’acte di Renè Clair, nel 1926 sempre con Duchamp e Marc Allégret fa Anémic cinéma e poi realizza un’altra pellicola Emak Bakia. Nel 1929, lo stesso anno del Chien andalou, di Bunuel e Dalì, gira Les Mystéres du château de dé.

Tali sperimentazioni hanno tutte un solo filo conduttore: nulla vogliono né significare, né esprimere, rendendo omaggio al caso, all’assurdo, agli inciampi della ragione e del linguaggio. Caso a parte è quello di Salvador Dalì. Inviso agli altri esponenti del movimento per il suo esibizionismo e per la spasmodica ricerca di notorietà, egli è il teorico della “paranoia critica”, che definisce «metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativo-critica di fenomeni deliranti». Infatti tutte le immagini e le figure, sono forme che si agitano nell’inconscio dell’artista catalano che riproduce sulla tela ciò che l’irrazionale fa apparire e che Dalì chiama “paranoia”. Così si spiega il contesto onirico in cui si combinano figure simboliche e allusive.

Alla fine del decennio, l’irrequieto gruppo surrealista si sfalda definitivamente. La scelta di Breton di passare a una politicizzazione del movimento, che lo porterà a chiudere La Révolution Surréaliste e a pubblicare, tra il 1930 e il 1933, Le Surréalisme au service de la Révolution, allontana autori come Bataille, Limbour, Masson, Vitrac, più interessati a temi come l’antropologia e il sacro che affrontano nella rivista Documents. Nel 1933, poi, la rivista Minotaure, fondata dal Albert Skira, aggregherà il gruppo stretta-mente artistico: Tanguy, Dalì, Duchamp, Mirò, Arp, de Chirico, Bellner. Nel gennaio 1938 si tiene alla Galerie des Beaux-Arts di Georges Wildenstein, a Parigi, l’Exposition Internationale du Surréalisme, celebrazione del movimento proprio nella fase della sua crisi definitiva.

a cura di Felice Presta e Vincenzo Bovino

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La Redazione 11 Giugno 2023 0
Senza categoria

Shale gas, rischi o opportunità?

Il petrolio non è finito e nemmeno il gas. Nei sottosuoli ci sono ancora abbondanti riserve di energia fossile. Malgrado ciò, esse non sono infinite e presto si dovrà affrontare il problema di come uscire definitivamente dall’epoca del petrolio e produrre tutta l’energia in modo alternativo. Chi spera in un abbandono nel breve periodo degli idrocarburi (30-40 anni), dovrà ricredersi perché stiamo varcando una nuova frontiera con ripercussioni positive e negative ancora tutte da scoprire. Gli Stati Uniti d’America hanno ripreso a macinare con il gas non convenzionale, volgarmente noto come “shale”, un gas estratto da rocce argillose in cui è trattenuto. La tecnica di estrazione, nota come “fracking”, fratturazione idraulica, è al centro di una controversia tra sostenitori e detrattori. La Cina affamata di energia, il Canada e il Messico si stanno attivando per aumentare questo tipo di estrazioni non convenzionali. Anche in Europa ci sono giacimenti, ma da noi l’atteggiamento resta più prudente e ogni paese ha deciso di regolarsi autonomamente. Gli interessi non sono soltanto di natura commerciale, nella partita energetica entra in campo la forza politica di una nazione. Gli idrocarburi derivati da argille possono mutare l’asse geostrategico oggi incentrato sui pozzi mediorientali e le condotte russe. Tutto è nato intorno al gas o meglio all’esigenza degli Stati Uniti di aumentare la produzione di fronte all’aumento dei consumi. Nel 2000 alcune piccole società (la prima è stata la Mitchell Energy), cominciarono a pensare di sfruttare una serie di giacimenti conosciuti ma fino allora mai sfruttati per ragioni economiche.

Conosciuti con i termini shale o tight, questi giacimenti sono costituiti da rocce calcaree, arenarie, quarzo e argilla: quando quest’ultima è predominante, si parla di shale, altrimenti le formazioni sono semplicemente tight. In molti casi, giacimenti tight sono confusi con gli shale, perché dall’analisi dei dati di giacimento risultano pressoché simili. A vederle ad occhio nudo, sembrano pietre di granito o cemento, non si pensa che contengano gas e petrolio. Per tutto il secolo è stato quasi impossibile, dato il basso livello di porosità e permeabilità, estrarre a costi contenuti. All’inizio le grandi multinazionali avevano sottovalutato la dimensione delle riserve di shale gas. La perforazione combina due tecniche: la trivellazione orizzontale e la fratturazione idraulica, o “fracking”. Nella perforazione orizzontale la trivella scava un pozzo in verticale nel sottosuolo, per poi deviare a 90 gradi ed entrare in lunghissimi ma poco spessi strati di rocce orizzontali che, come spugne solide, imprigionano idrocarburi. È a questo punto che interviene la fratturazione idraulica. Mentre la trivella procede, si “sparano” acqua, sabbia (o ceramica) e agenti chimici all’interno del pozzo a intervalli regolari. L’acqua rompe la roccia, sabbia e agenti chimici impediscono che le rotture create si richiudano o implodano e così favoriscono la “fuga” in superficie di gas e petrolio. Queste tecniche non sono una novità, le prime fratturazioni idrauliche conosciute risalgono al 1949. Il dilemma più delicato riguarda ovviamente l’impatto ambientale. Secondo critiche ben motivate, questo tipo di trivellazione impiegata per l’estrazione di petrolio e gas da formazioni shale e tight, provocherebbero piccoli terremoti e il rischio di inquinare le falde acquifere.

L’eco di queste preoccupazioni ha raggiunto l’Europa: la Francia ha vietato temporaneamente il fracking, in altri paesi come Svezia e Germania si sta manifestando una forte ostilità, così come in Italia dove molti territori saranno oggetto di esplorazioni. Le acque “sparate” e stoccate in enormi quantità sotto terra, in effetti, possono provocare un distacco delle faglie e il loro scivolamento, e quindi piccoli terremoti. Dal 2010 in tutto il Midwest americano sono aumentati gli sciami sismici, dopo l’intensificarsi dell’attività di trivellazione convenzionale e non convenzionale. È solo una coincidenza? In alcuni casi come in Ohio e in Inghilterra, le scosse hanno raggiunto i due gradi Richter. In Emilia, ammesso che il fracking non si pratichi, ci sono 514 pozzi perforati, di cui 69 non produttivi e destinati ad altro uso (fonte Ministero Ambiente). Molti sostengono che il terremoto verificatosi nel 2012, sia una conseguenza dell’attività dei pozzi di “reinezione” di rifiuti liquidi provenienti da estrazioni di gas e petrolio “convenzionali”.

Molti studi confermano la connessione tra sismicità e attività di trivellazione. A maggio 2012 l’International Energy Agency ha pubblicato un rapporto dove sono contenute le regole per minimizzare i rischi ambientali connessi alla produzione di gas da giacimenti “non convenzionali”. Come già accennato, tali rischi hanno spinto Francia, Bulgaria e alcuni stati americani (Vermont e altri) a proibire per ora questa pratica. Questo tipo di trivellazioni sono molto invasive (più di un pozzo a km quadrato, mentre per le tecniche convenzionali basta uno ogni 10 km). Occorre un gran movimento di camion: 100-200 per la costruzione di ogni pozzo, fino a 650 per portare l’acqua necessaria per il metodo della fratturazione idraulica, altre centinaia per rimuovere le decine di tonnellate di pietra prodotte da ogni torre di trivellazione. Traffico e inquinamento a cui si aggiunge quello dei motori diesel che forniscono energia al pozzo. Oltre a questo c’è il problema dello stoccaggio e dello smaltimento accurato del “mud” il fluido fanghiglioso con cui si lubrifica la trivellazione. Si aggiunga poi quella porzione di fluido usata per la fratturazione idraulica – composto di acqua, grani di sabbia o ceramica e additivi chimici – che ritorna in superficie portando con sé metalli e minerali talvolta leggermente radioattivi. Inoltre, il rivestimento interno in cemento del pozzo, deve essere impeccabile per evitare infiltrazioni di ogni tipo nel terreno e nelle falde acquifere. Insomma, ci sono buoni motivi per non stare troppo rilassati.

FELICE PRESTA

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La Redazione 10 Giugno 2023 0
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Carroll Quigley e la dimensione oligarchica della storia

La letteratura sulle cospirazioni è ricca, non conosce crisi. Ultimamente, diversi autori, per lo più americani, sono diventati milionari grazie a ricostruzioni e descrizioni del nuovo ordine mondiale. Il tema ricorrente è sempre lo stesso: un manipolo di uomini controlla tutto all’interno di organizzazioni riservate. Ma è proprio tutto così semplice? Il problema di questi libri è una notevole superficialità nel trattare l’argomento, così come una eccessiva semplificazione che non aiuta a comprendere l’effettiva trama del potere, le sue articolazioni su più livelli e la dialettica all’interno degli stessi apparati. La questione è molto più complicata, non si può ridurre con qualche nome e sigla da offrire come grande cospiratore, altrimenti finiamo nel romanzo popolare. Meglio leggersi “La storia dei tredici” di Honoré de Balzac.

C’è stato un periodo in cui l’analisi del Potere internazionale e delle sue articolazioni era una questione più seria. Pochi conoscono il Professor Carroll Quigley, controverso storico, che insegnò ad Harvard, Princeton e Georgetown tra gli anni quaranta e settanta del Novecento. Egli era convinto che l’establishment nel mondo anglo-americano fosse un argomento tabù su cui gli studiosi di alto rango non si fossero mai davvero cimentati. Lo stesso Quigley si considerava un membro delle alte sfere e si dichiarava espressamente d’accordo con le idee guida di questa classe dirigente, anche se non condivideva l’eccessiva riservatezza della rete di potere.

Così Quigley, con una ricerca durata molti anni, ricostruisce famiglie, connessioni e modus operandi di questi gruppi con la pubblicazione, nel 1966, di Tragedy and Hope, libro di più di mille pagine in cui si ricostruisce la vicenda del potere anglo-americano tra i primi del Novecento e la Seconda Guerra Mondiale. L’opera è diventata anche un oggetto di culto per collezionisti, una lettura difficile e pesante, disponibile solo in inglese, con alcune sintesi tradotte che descrivono il nocciolo della teoria di Quigley.

Cosa scopriva Quigley? Che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna erano e sono governati da minoranze marginalmente toccate dalle dinamiche elettorali. Il centro di questo potere erano i salotti finanziari animati dalle grandi famiglie: i Rothschild, i Morgan, i Rockefeller, i Lamont e nel Regno Unito i ricchissimi Cecil Rhodes e Alfred Milner. Il loro potere si strutturava per network: proprietà di giornali, finanziamenti delle università, creazione di fondazioni e centri di ricerca, partecipazione assidua alla vita dei partiti e finanziamento di entrambe le fazioni, costante presenza nelle alte cariche amministrative dello Stato.

Quigley elencava le caratteristiche di questo establishment. Nel Regno Unito era concentrato a Londra, nella City e nei club, mentre negli Stati Uniti viveva nelle grandi città della East Coast. Tutti i componenti di questa élite erano bianchi, in larga maggioranza protestanti (seppure non mancavano gli ebrei ed erano ammessi cattolici come i Kennedy), d’idee cosmopolite, progressiste e internazionaliste, protese alla conquista dei mercati esteri e spregiudicate da fare affari con tutti i regimi politici.

Geminello Alvi le definisce “aristocrazie venali” per evidenziare la propensione a mettere al centro delle proprie azioni il calcolo economico. Quigley ricorda come a questa élite, non interessano molto i vincitori delle elezioni, quanto essere sempre presenti nei posti di comando fondamentali. Ciò avveniva e avviene ancora, grazie ai potenti sistemi di reclutamento messi in campo: le università della cosiddetta IVY League, il CFR (Council on Foreign Relations) e i “think tank”, fondazioni di formazione politico-culturale. Queste strutture selezionano una classe politico-amministrativa che rispecchia, per linee e porzioni, il pensiero dell’establishment. Quigley passa in rassegna una quantità impressionante di biografie di piccoli e grandi potenti mostrando come tutti, abbiano trascorso almeno un periodo della loro vita dentro queste organizzazioni.

Il suo libro si caratterizza per il rigore scientifico, i dati storici elencati mettono un freno alle teorie complottistiche più fantasiose e superficiali. La sua opera si limita a mostrare i rapporti, le connessioni, i finanziamenti, le parentele tra i potenti dell’anglosfera che di fatto domina ancora, con nuovi nomi e volti ma con una origine e connessione comune.

Difficile valutare se Quigley avesse ragione o meno su tutto. Certo è che vista in retrospettiva la struttura del potere americano appare coerente con le suggestioni dello storico. Non è un caso, infatti, che la politica americana presenti delle vere e proprie dinastie: i Kennedy, i Bush, i Clinton. Adesso proprio a Washington è in corso uno scontro tra élite vecchie e nuove. Vincere le elezioni non basta, serve il controllo dei posti di comando.

Ciò non dimostra che esiste una congiura per governare il mondo e dirigere la politica mondiale, ma è evidente che Quigley sveli un aspetto importante del funzionamento e delle idee delle classi dirigenti britanniche e americane con caratteristiche comuni definite. Alcuni aspetti spiccano su tutti: i canali di selezione fuori dal circuito democratico, un orientamento a tendenza imperiale, rivolto verso l’esterno sia economicamente che culturalmente e una omogeneità di questa élite rispetto a quelle europee.

Storici famosi di stampo anglosassone come lo stesso Quigley, Arnold J. Toynbee, Samuel Huntington fino al contemporaneo Niall Ferguson ragionano in termini di civiltà ponendole al centro delle proprie ricerche, molto più degli studiosi europei contemporanei. Arnold Toynbee è noto al pubblico per gli studi sui cicli delle civiltà e per aver teorizzato che a capo di ogni ciclo si ponga una minoranza creativa, stabile con proprie regole e, soprattutto, una propria e precisa cultura. Nel 2018, il britannico Niall Ferguson ha dato alle stampe “La piazza e la torre” in cui passa in rassegna le reti del potere cavalcando le epoche storiche, muovendosi dalla massoneria settecentesca fino alla nuova aristocrazia industriale delle Big Tech. Ferguson vende milioni di copie, ma forse farebbe fatica a trovare uno spazio accademico nell’Europa continentale dove, tesi così audaci, sono poco tollerate dalla classe intellettuale.

La forza e la selezione dell’élites è una caratteristica molto forte della sfera anglosassone. D’altronde Michael Mann, noto sociologo e tra gli ultimi teorici dell’impero, considera quello americano un potere infrastrutturale capace di flettersi e snodarsi dentro e fuori l’America, con una articolazione in quattro dimensioni: militare, economico, politico e culturale. Le caratteristiche che lo storico dell’Antica Roma, Ronald Syme, individuava anche per la Repubblica Romana, guidata da una oligarchia omogenea e culturalmente compatta con progetti, tradizioni e schemi mentali delineati. Sforzarsi di comprendere bene queste dinamiche, conoscere questa storia, può fornire spunti per comprendere meglio il mondo che ci circonda, oltre il velo delle apparenze. Perché la storia la disciplina che più delle altre può fornire gli spunti per disegnare le strategie e comprendere le inclinazioni, le sensibilità e anche le pericolosità di avversari e alleati.

 

Felice Presta

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La Redazione 16 Maggio 2023 0
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