Anche su di un campo di battaglia,dove il numero dei morti è stato immenso, può nascere uno splendido fiore!

Nemmeno in questa sanguinosa guerra, dove al contrario delle altre volte stiamo combattendo con un nemico infinitissimamente piccolo, tanto da essere invisibile e al tempo stesso enormemente scaltro tanto da mutare continuamente le sue abitudini e la sua stessa natura al punto da sembrare invincibile e ovunque presente contamina e lascia dietro di se una scia di morte.

In questo immenso panorama ove si alternano lamenti, lacrime, disperazione, misericordia, compassione, dolore e mestizia è nato un fulgido fiore.

L’ autore? Un artista del Sannio Irpino.

Il nome? Antonio Franzese in arte FRANZ .

Professione? Pittore, ceramista, disegnatore, docente presso l’Istituto d’Arte di Cerreto Sannita.

Queste le sue note caratteristiche.

Il “FIORE” : dieci manografie che illustrano con grafici, colori e simboli l’immane tragedia mondiale che affligge la civiltà contemporanea.

Provo a commentare qualcuno di questi disegni: inizio ad osservare la prima manografia che funge anche da frontespizio del contenitore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciò che colpisce a prima vista e sarà comune  a tutti i disegni è l’abbigliamento con cui sono ammantate le figure.

Le vesti sono confezionate da bende che rappresentano il simbolo dell’ospedale, dell’ammalato, dell’infortunato, ma anche di coloro che avvolti dalle bende venivano adagiati nei sepolcri: sono insomma il simbolo di coloro che soffrono o che hanno sofferto.

Franz fa svolgere tutte le scene da personaggi bendati per ricordarci che tutto accade in un lazzaretto a cielo aperto.

Il solo motivo architettonico presente è rappresentato dalle colonne, peraltro diverse tra loro, a ricordo di quelle erette nella chiesta S. Sofia a Benevento.

In primo piano una figura: un”camice bianco” indica agli osservatori l’unica difesa che al momento possediamo(?…) per contrastare il nostro nemico: (LA MASCHERINA).

Gli altri personaggi con i loro differenti atteggiamenti: di terrore e di costernazione ci indicano lo stato d’angoscia in cui viviamo in questi momenti.

 

 

 

 

 

 

 

La scena che è illustrata è tra le più drammatiche dell’opera: in primo piano il giovane deceduto pianto dalla madre, mentre in fondo un’altra madre affida ad un medico il suo figliolo ammalato e tralasciando il suo stato di salute, invoca il sanitario perché salvi il suo bambino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ove però Franz con la sua opera abbandona la cronaca ed il concetto diventa trascendentale è quando avverte il desiderio degli uomini di rivolgersi a Dio perché li perdoni e allora l’artista si rivolge a Cristo: figlio di Dio fatto uomo che ben conosce le sofferenze e in questa veste lo raffigura nella duplice sua espressione: Cristo che implora suo Padre che è nei Cieli perché perdoni gli uomini. Troppo crudeli sono i dolori e Lui che ha tanto sofferto, interviene e chiede pietà per l’umanità tanto tormentata; l’altro Cristo è colui che si danna perché si assume la colpa di tutti gli uomini e che, come uomo, sa di sopportare a fatica queste nostre tribolazioni.

Credo di aver dato un sufficiente stimolo a continuare la lettura e i vari elementi che compongono la cartella ed essere soddisfatti, alla fine, per aver interpretato e riflettuto su di un’opera unica che non presenta alcunché di pleonastico per indurci soltanto a commuoverci e soprattutto nessun barocchismo per invogliarci ad aver pietà di noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infine il maestro Franz con l’ultima manografia ci dà la speranza una luce illumina la fine di questo penoso percorso, questo buio tunnel; io aggiungo con le parole di Dante Alighieri “!!! E quindi uscimmo a riveder le stelle.”

Gianni dell’Aquila.